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Verri: «Mimmo Lucano non può decadere: la legge Severino non si applica al suo caso»

«Manca la contestazione e l’accertamento dell’aggravante per l’abuso di poteri o violazione dei doveri inerenti a una pubblica funzione»

Pubblicato il: 13/05/2025 – 10:27
Verri: «Mimmo Lucano non può decadere: la legge Severino non si applica al suo caso»

COSENZA Mimmo Lucano, tornato sindaco di Riace, rischia un secondo “esilio”: dopo il divieto di dimora che lo aveva allontanato dal suo comune per reati da cui è stato assolto, ora la Prefettura di Reggio Calabria ne chiede la decadenza dalla carica, invocando la legge Severino. Ma, come spiega l’avvocato cassazionista Francesco Verri su Il Dubbio, «la Prefettura sbaglia».
La legge Severino (art. 10, comma 1, lett. d, D.lgs. 235/2012) prevede la decadenza in caso di condanna definitiva a una pena superiore a sei mesi per delitti commessi con abuso di poteri o con violazione dei doveri inerenti a una pubblica funzione o a un pubblico servizio, ossia nei casi in cui si applichi l’aggravante prevista dall’art. 61 n. 9 del codice penale.
Nel caso Lucano, questo presupposto non sussiste. L’ex sindaco è stato condannato, con pena sospesa, a 18 mesi di reclusione per falso ideologico, limitatamente a un solo atto amministrativo. Ma – sottolinea Verri – manca la contestazione e l’accertamento dell’aggravante per l’abuso di poteri o violazione dei doveri inerenti a una pubblica funzione.
Il pubblico ministero non ha mai invocato l’articolo 61 n. 9 né descritto i fatti attribuendo a Lucano tale connotazione, nemmeno al momento delle conclusioni. Di conseguenza, osserva Verri, «il giudice non ha aumentato la pena per effetto dell’aggravante e non ha ritenuto sussistente alcuna violazione dei doveri pubblici».
Per evitare equivoci, Verri smonta anche l’idea che l’aggravante possa considerarsi “implicita” nel reato di falso ideologico, chiarendo che «non si potrebbe invocare con successo l’argomento secondo cui la circostanza aggravante si dovrebbe comunque considerare contestata “in fatto”», perché nell’imputazione non vi sono “espressioni evocative” equivalenti.
A sostegno della sua tesi, l’avvocato richiama la giurisprudenza più recente della Cassazione, secondo cui «non è sufficiente che in capo a chi commetta un qualsivoglia reato sussista la veste di pubblico ufficiale». La circostanza aggravante, infatti, riguarda la modalità dell’azione, non la semplice qualifica di chi la compie.
La conclusione è netta: non ci sono i requisiti legali per far decadere Lucano. Applicare la Severino in assenza dell’aggravante specifica significherebbe forzare la legge e creare un grave precedente. «Lucano deve restare al suo posto», scrive Verri, «una diversa decisione violerebbe i suoi diritti fondamentali e quelli dei cittadini di Riace». (f.v.)

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