Gebbione è un quartiere di Reggio Calabria di 54.000 abitanti. Una delle aree più importanti della città metropolitana per commercio e socialità. Nei giorni scorsi l’operazione “Monastero” ha registrato 4 arresti ma il dato più rilevante è arrivato dalle parole in conferenza stampa del magistrato calabrese Giuseppe Lombardo che ha condotto le indagini contro la cosca Labate. Ha detto l’inquisitore che nel quartiere di Gebbione «la ’ndrangheta si è inserita come forza regolatrice, capace di condizionare ogni aspetto della vita quotidiana». A Gebbione i Labate impongono le forniture, governano la truppa disperata dei rom del quartiere, controllano il territorio. Lombardo parla con cognizione di causa considerato che persegue i Labate del Gebbione dal lontano 2007. Ha ammonito anche Lombardo di non parlare di ‘ndrangheta solo con la cronaca degli arresti. Il peggio è prima e dopo la cronaca. La vicenda testimonia ancora una volta che Reggio Calabria non è una città come le altre.
L’analisi del magistrato ha registrato un rumoroso silenzio istituzionale.
La politica locale e regionale preferisce disquisire di licenze e chioschi, di poltrone e strapuntini, persino ad un’iniziativa di Confcommercio reggina dedicata alla giornata della legalità i resoconti si soffermano, giustamente per carità, su tre episodi di microcriminalità (una rapina, una borsa rubata in vetrina di giorno, l’accoltellamento per una sigaretta negata) ma neanche una parola è stata spesa sui ragionamenti di Lombardo. La stampa nazionale men che meno ragiona di ‘ndrangheta glocale con l’eccezione di qualche vistosa mosca bianca come Giulio Cavalli sul Domani.
La vicenda invece non è sfuggita alla criminologa calabrese Anna Sergi, la quale ha analizzato nella sua newsletter bilingue con la sua solita certosina attenzione l’intervento di Lombardo. Riflette la studiosa sul dato che la governance locale reggina (tutto il poter di ogni colore politico) è profondamente intrecciata con la ‘ndrangheta. Le cosche come quelle dei Labate e similari controllano imprenditoria e politica e permettano alla mafia reggina “di mantenere una facciata di rispettabilità”. La questione non è quindi nella declaratoria degli arrestati come compitino ma sventare la capacità ‘ndranghetista di “plasmare il paesaggio politico e sociale di luoghi come Reggio Calabria”.
Per non restare nelle messe cantate dell’antimafia retorica segnalo che a giugno al Festival “Trame” di Lamezia Terme sarà presentato il libro voluto per celebrare i suoi primi 40 anni da l’ICSAIC, l’Istituto Calabrese per la Storia dell’Antifascismo e dell’Italia Contemporanea “Le mutazioni della ‘ndrangheta”. Saranno presenti tre degli autori. Il celebre studioso internazionale John Dickie, la già citata Anna Sergi, ed Enzo Ciconte tra i più accreditati analisti del fenomeno. Per chi vuole capire in profondità la ‘ndrangheta contemporanea è bene esserci.
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Il 15 maggio del 1891 Papa Leone XIII promulgava l’enciclica sociale Rerum Novarum spartiacque della Chiesa cattolica nel prendere posizione sulle questioni del lavoro e della povertà e quindi pietra miliare della moderna dottrina sociale oltre Tevere come si definisce il Vaticano. La recente salita al soglio pontefice di Leone XIV consegna una visione contemporanea alla celebre enciclica. Aspetto che non sia sfuggito a monsignor Francesco Savino, vescovo di Cassano e vicepresidente della Cei che ha scritto un saggio per la rivista “Studi e ricerche su don Carlo De Cardona e il movimento cattolico in Calabria” pubblicato dal sempre effervescente Demetrio Guzzardi di “Editoriale progetto 2000” in cui potete anche trovare il testo integrale dell’enciclica leonina e anche un agile studio sull’impatto che ebbe sulla nostra regione curato da Maria Mariotti. Monsignor Savino osserva che rispetto al precedente Leone oggi non basta più prendere posizione ma c’è bisogno di “un coraggio ecclesiale in grado di attraversare il presente senza fuggirlo”. Questione che investono le trasformazioni algoritmiche della moderna automazione e che provocheranno nuove diseguaglianze e crisi dell’umano. Savino poggia molto sulla modernità della parola “dignità”.
E a proposito di attraversare il presente senza fuggirlo non è per nulla casuale che il prossimo 22 maggio a Castrovillari monsignor Savino concluderà la manifestazione “1945- 2025. Mai più guerra” promossa da forze sociali e politiche molto trasversali. Parola d’ordine scelta: “Per una pace disarmata e disarmante” frase pronunciata dalla loggia di San Pietro dal nuovo papa Leone al suo primo discorso pubblico.
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Il nuovo papa Leone non disdegna il pop come ha dimostrato nel recente incontro con il tennista Sinner. Quel pop ben tutelato dalle recenti gerarchie bergogliane e che trovano ampio godimento nel recente libro di Rubbettino “Hanno parlato con Dio. Ennio Morricone e Fabrizio De André. Le musiche e le parole che sono arrivate dal cielo” in cui l’attrezzato giornalista catanzarese Sergio Dragone (sua la robusta antologia per temi su 500 testi della canzone italiana) stimola a non banali riflessioni don Antonio Staglianò presidente della Pontificia accademia di teologia, calabrese di Isola Capo Rizzuto e lungo percorso ecclesiale in Calabria prima di diventare vescovo di Noto, facendosi “notare” per le sue esibizioni con voce e chitarra di canzoni di cantautori contemporanei per parlare ai giovani di Dio e della fede. È considerato il promotore della “Pop theology”, strumento di linguaggio accessibile a tutti come sottolinea nella sua prefazione il francescano padre Enzo Fortunato, altro comunicatore bergogliano di grande impatto popolare su social e media. Un libro avvincente per cattolici, laici e agnostici cinefili e non, in cui ci si confronta sugli spiritual di Faber e sulla problematica delle colonne sonore del Galileo di Liliana Cavani e del Giordano Bruno di Giuliano Montaldo. Due teologi (inconsapevoli?) De André e Morricone tra rivolte anticoloniali nel Queimada di Pontecorvo, il muro alla pena di morte di Sacco e Vanzetti, l’eccidio del Sand Creek tanto simile a Gaza e le celebri canzoni contro la guerra di Fabrizio, i suicidi omaggiati, i vangeli apocrifi, i comandamenti del testamento di Tito, i gesuiti in armi di Mission. Una fusione di orizzonti di magnifica lettura per prosa e analisi che si consiglia da accompagnare con l’ascolto dei brani analizzati in sottofondo. Non perdetelo.
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Pasquale Rotondi è stato il soprintendente di Urbino che durante la Seconda guerra mondiale salvò dalle depredazioni naziste molti capolavori del Montefeltro. In suo nome dal 1997 è nato un premio internazionale che una giuria internazionale assegna ai salvatori dell’arte. Ebbene il premio quest’anno sarò consegnato al nostro, e sottolineo nostro pur se salernitano napoletano, Filippo Demma, direttore del Parco archeologico di Sibari e Crotone, con questa motivazione: “Ha promosso iniziativa di tutela, accessibilità e partecipazione in territori complessi, costruendo un rapporto di fiducia con le comunità valorizzando il patrimonio come risorsa condivisa”. Complimenti a Filippo Demma, soprintendente pop al pari di monsignor Staglianò. Che fortuna per i nostri spesso derelitti giacimenti culturali archeologici aver trovato un virtuoso di tal fatta. (redazione@corrierecal.it)
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