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LA NUOVA MISURA

L’imprenditore reggino “protetto” dai clan in Toscana

Nuova confisca per il 60enne Cosma Damiano Stellitano di Melito Porto Salvo. Già in passato coinvolto nelle inchieste “Vello d’Oro” e privato di beni per 2 milioni

Pubblicato il: 19/05/2025 – 18:33
di Giorgio Curcio
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L’imprenditore reggino “protetto” dai clan in Toscana

LAMEZIA TERME Da molti anni ormai gli inquirenti hanno messo gli occhi sulle sue attività, sequestrando e confiscando beni per milioni di euro. Per Cosma Damiano Stellitano, imprenditore 60enne di Melito Porto Salvo ma da anni residente a Vinci, arriva un nuovo durissimo colpo. La Guardia di Finanza di Firenze, infatti, gli ha confiscato beni per un valore di poco più di 300mila euro tra conti correnti e un appartamento a Tenerife, individuato anche grazie alla cooperazione internazionale tra l’autorità giudiziaria italiana e spagnola.

Le accuse all’imprenditore calabrese

Il 60enne calabrese, infatti, è tuttora accusato di essere il trait d’union tra imprenditori operanti in Toscana e soggetti calabresi indicati come legati alla ‘ndrangheta. Coinvolto nelle operazioni “Vello d’Oro” e “Vello d’Oro 2”, Cosma Damiano Stellitano è accusato di essere  “bancomat” delle imprese conciarie attive nel territorio di Pisa, avendo alle spalle i clan della ndrangheta e della camorra, e fu raggiunto da un fermo nel 2018 con l’operazione “Vello d’Oro”, nel corso della quale furono arrestate 14 persone tra Calabria e Toscana, tutte accusate a vario titolo di associazione a delinquere, estorsione, usura e riciclaggio tra i reati più gravi, emersi anche nell’operazione bis, “Vello d’Oro 2”, con il coinvolgimento di sei aziende della filiera della pelle tra Santa Croce, San Miniato e Castelfranco, e in un caso a Monsummano Terme.

I soldi prestati

Nella prima inchiesta, all’epoca, fu rilevante la denuncia di un imprenditore conciario ai carabinieri di Empoli risalente al 2014. L’uomo dichiarava di aver subito minacce per non aver pagato un prestito che gli era stato concesso a tassi di usura: si trattava di 30.000 euro di cui rendere 35.000 euro il giorno dopo, con un incremento del 17%. Poi, secondo le indagini, il denaro arrivò in Toscana dalla Calabria e fu consegnato contestualmente all’emissione di fatture false, per un acquisto inesistente di pellami. La fattura finta era la “pezza d’appoggio” che lo stesso imprenditore della zona di Empoli avrebbe dovuto pagare, per giustificare l’aumento di denaro maggiorato, a Cosma Damiano Stellitano.

La “batteria” dei calabresi

L’imprenditore toscano non rese i soldi e annullò il bonifico a favore di una società riconducibile a Stellitano. Ma tempo dopo, un amico dell’imprenditore toscano, colui che lo aveva messo in contatto con Stellitano, fu sequestrato da una “batteria” di calabresi che lo costrinsero a salire in auto e a condurli nei luoghi in cui avrebbero potuto rintracciare il debitore. Prima di rilasciarlo, dopo un’intera giornata, lo minacciarono anche di portarlo in Calabria e di non rilasciarlo fino a che la cifra non fosse stata pagata. Poi, in base a quanto emerso, nei mesi successivi, quattro persone aggredirono l’imprenditore toscano a Fucecchio (Firenze), picchiandolo e intimandogli di restituite il denaro che doveva.

Un nuovo colpo

In una intervista rilasciata al “Tirreno”, l’imprenditore di Melito Porto Salvo contestava «alla radice le accuse che mi vengono mosse. Nessun riciclaggio, l’usura non esiste. Le mie attività vanno avanti meglio e più di prima». «Lavoriamo senza problemi rapportandoci con gli amministratori giudiziari. Contro di me solo fango e menzogne». La misura, poi, fu confermata e oggi rafforzata con una nuova confisca. Nel processo, tuttora in corso, sono contestati i reati di associazione per delinquere, tentata estorsione, usura, riciclaggio, abusiva attività finanziaria, emissione di fatture per operazioni inesistenti, trasferimento fraudolento di valori, con l’aggravante del metodo mafioso e della finalità di agevolare la ‘ndrangheta. Le indagini, si spiega dalla guardia di finanza, hanno consentito di dimostrare, prescindendo dalla responsabilità penale che dovrà essere accertata nel processo, la pericolosità sociale dell’imprenditore e la sproporzione, non giustificata, tra i redditi dichiarati e il suo patrimonio, schermato anche attraverso meccanismi di intestazione fittizia. (g.curcio@corrierecal.it)

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