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Caso Cecchettin, la Procura di Venezia: «Riconoscere a Turetta le aggravanti»

Impugnata la sentenza di primo grado della condanna all’ergastolo

Pubblicato il: 21/05/2025 – 19:45
Caso Cecchettin, la Procura di Venezia: «Riconoscere a Turetta le aggravanti»

MILANO La Procura di Venezia ha deciso di impugnare la sentenza di primo grado con cui Filippo Turetta è stato condannato all’ergastolo per il femminicidio di Giulia Cecchettin, uccisa con 75 coltellate l’11 novembre del 2023. La Corte d’Assise di Venezia, lo scorso 3 dicembre, aveva emesso il verdetto della condanna all’ergastolo, riconoscendo al reoconfesso di Torregilai, in provincia di Padova, la premeditazione, lasciando cadere le altre due aggravanti contestate dal pm Andrea Petrone: stalking e crudeltà. La Procura chiede, invece, che siano riconosciute. «Come collegio difensivo della famiglia Cecchettin avevamo chiesto espressamente l’impugnazione della sentenza da parte della Procura di Venezia. Non sappiamo se abbiano deciso in questo senso sulla base della nostra richiesta, ma la decisione della Procura ci rincuora e mostra che noi non eravamo dei visionari: quelle aggravanti c’erano», dice a LaPresse l’avvocato Stefano Tigani, legale di Gino Cecchettin, papà della vittima. Nelle motivazioni della sentenza, depositate lo scorso 8 aprile, la Corte d’Assise lagunare, davanti alla quale si era celebrato il processo con rito abbreviato, aveva messo nero su bianco che quelle 75 coltellate inferte alla vittima non furono “crudeltà”, ma «inesperienza”». Un atto, colpire la 22enne 75 volte, non in una, ma in due diverse aggressioni, che ha avuto una dinamica «certamente efferata», ma che è stato una “conseguenza della inesperienza e della inabilità” del 23enne. Colpirla 75 volte non era dunque, per i giudici della Corte d’Assise di Venezia (presidente Stefano Manduzio, estensore Francesca Zancan) «un modo per infierire crudelmente o per fare scempio della vittima». Il 23enne, detenuto nel carcere di Montoro, a Verona, «non aveva la competenza e l’esperienza – si legge nelle motivazioni della sentenza – per infliggere sulla vittima colpi più efficaci, idonei a provocare la morte della ragazza in modo più rapido e “pulito”, così ha continuato a colpire, con una furiosa e non mirata ripetizione dei colpi, fino a quando si è reso conto che Giulia “non c’era più”». «È pacifico che le condotte» di Turetta «abbiano oggettivamente e innegabilmente carattere persecutorio», ma «l’aggravante contestata è espressamente circoscritta al periodo “in prossimità e a seguito del termine della relazione intrattenuta”». Turetta metteva in atto nei confronti di Cecchettin una «esasperante forma di controllo» e la relazione tra i due ragazzi è «sempre stata connotata dall’atteggiamento possessivo e controllante del ragazzo, le cui pretese erano tali da dar luogo più volte a discussioni», come emerge con chiarezza anche dal tenore delle chat tra i due. «Non solo egli pretendeva di controllare e selezionare le frequentazioni di Giulia, ma si aspettava che lei gli rendesse conto di ogni momento non trascorso assieme a lui, arrivando addirittura a tentare di imporle di rallentare gli esami e abbassare il proprio rendimento accademico per aspettarlo, così da arrivare a laurearsi insieme». Turetta ha ucciso l’ex fidanzata perché «non ha accettato che Giulia Cecchettin fosse libera di decidere come vivere la propria vita e di non voler più stare con lui». Così, dopo essersi preparato per quattro giorni, la sera dell’11 novembre 2023 l’ha uccisa colpendola con 75 coltellate.

Foto Ansa

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