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la crisi rossoblù

Cosenza, il teatro dell’assurdo continua: tra comunicati-fantasma e illusioni

Sette giorni fa la promessa di una cessione «a brevissimo», ma nessuna trattativa è definita e Guarascio potrebbe restare

Pubblicato il: 21/05/2025 – 9:40
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Cosenza, il teatro dell’assurdo continua: tra comunicati-fantasma e illusioni

COSENZA Esattamente una settimana fa, Eugenio Guarascio firmava un comunicato stampa che, almeno nelle intenzioni, avrebbe dovuto rappresentare uno snodo decisivo per il futuro del Cosenza calcio.
Una nota che parlava di «situazioni concrete in essere» per la cessione della società, perfino di «una in particolare» vicina alla definizione «a brevissimo». Sette giorni dopo, invece di notizie, resta solo l’eco di promesse disattese e l’odore stantio dell’ennesima improvvisazione mista a presa in giro.
Già, perché è proprio questo l’aspetto più inquietante: persino nel comunicato che avrebbe dovuto portare chiarezza, il Cosenza ha dimostrato di non avere una linea, un piano, una direzione. Come se anche lì, dove bisognava parlare con precisione e responsabilità, si fosse scelto di navigare a vista, come sempre. Un messaggio che doveva rassicurare e invece ha creato ancora più smarrimento. Un cortocircuito che sa di beffa.
Nel frattempo, nulla è cambiato. Nessuna trattativa chiusa, nessun possibile acquirente preso sul serio. Anche in città si continua a parlare di soggetti interessati, di imprenditori “travestiti” da fondi esteri, di nomi che si rincorrono e poi svaniscono e persino di figure vicine a Guarascio messe al vertice del club per garantire all’imprenditore di continuare a gestire gli affari della sua creatura senza apparire. La sensazione ad oggi è che Guarascio non voglia realmente farsi da parte. O, peggio ancora, non può. Troppo alte le richieste, troppo ingarbugliata la situazione interna, troppo precaria la condizione finanziaria della società, che già ora genera inquietudine in vista dell’iscrizione al prossimo campionato di Serie C. La scadenza del 6 giugno è più vicina di quanto sembri, e a oggi il club dà l’impressione di non essere pronto.
In mezzo a questo vuoto di certezze, emergono retroscena che aggravano ulteriormente il quadro. L’amministratore unico, Rita Rachele Scalise, come riportato dal Quotidiano del Sud e verificato anche dal nostro giornale, avrebbe sondato la disponibilità di alcuni imprenditori, alcuni dei quali sponsor del club silano, per farli entrare con quote di minoranza. Un modo per mantenere il controllo societario saldamente nelle mani di Guarascio, senza reali aperture alla cessione. Risultato: zero risposte positive. Perché nessuno ha più voglia di condividere un progetto che ormai non è più un progetto, ma una zattera in balia delle onde, respinta da tifosi, sponsor e perfino dalla logica.
E intanto si annuncia l’addio, ma si prova ad organizzare il ritiro a Lorica, senza, però, crederci più di tanto. Un altro tassello del mosaico dell’incoerenza. Come se si potesse tenere il piede in due staffe, dire tutto e il contrario di tutto, senza mai assumersi la responsabilità di una scelta chiara.
In tutto questo marasma, non si può ignorare la figura del consulente finanziario Luigi Micheli. Uomo incaricato da Guarascio di sistemare i conti del club. Ex dirigente del Brescia, Micheli è finito in una vicenda giudiziaria con il patron Cellino che lo ha accusato di indebiti prelievi. Una storia ancora aperta, che torna attuale proprio oggi, mentre il Brescia rischia la retrocessione per irregolarità finanziarie. Da quelle parti si mormora che Micheli se ne sia andato via perché non condivideva la linea finanziaria di Cellino. Ma a Cosenza, dove la fiducia è ai minimi storici, anche questi intrecci fanno rumore.
Alla fine, resta solo una certezza: la città è stanca. Stanca dei comunicati-fantasma, delle promesse «a brevissimo», dei giochi di parole e delle strategie opache. Il tempo delle mezze verità è finito. Servono risposte chiare, pubbliche, ufficiali. Una conferenza stampa, un volto, un’assunzione di responsabilità.
Perché a Cosenza il calcio è parte dell’identità collettiva, non un’azienda da gestire a colpi di silenzi e proclami vuoti. E chi lo ha dimenticato, non ha più diritto di rappresentarlo. (fra.vel.)

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