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la riqualificazione possibile

Sanità pubblica e montagne calabresi: tra l’oblio istituzionale e la morsa dei vincoli europei

A San Giovanni in Fiore confronto a più voci sugli ospedali montani: ospiti gli attivisti di Acri, Serra San Bruno e Soveria Mannelli

Pubblicato il: 23/05/2025 – 7:34
di Emiliano Morrone
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Sanità pubblica e montagne calabresi: tra l’oblio istituzionale e la morsa dei vincoli europei

La questione degli ospedali montani – Acri, San Giovanni in Fiore, Serra San Bruno e Soveria Mannelli – era scomparsa dai radar istituzionali e mediatici, salvo riaffiorare grazie ad alcuni approfondimenti del Corriere della Calabria, che aveva richiamato l’attenzione sul modello lombardo dell’ospedale di Sondalo e su una norma nazionale che potrebbe salvare i presìdi delle aree interne, se solo fosse applicata. Ma di riforme vere non se ne parla. Al contrario, si assiste all’ennesimo teatrino politico: centrodestra e centrosinistra si accusano a fasi alterne, mentre la rete ospedaliera calabrese resta identica da 15 anni, con servizi essenziali ridotti all’osso e strutture sempre meno attrattive.
Il motivo è semplice e strutturale: non ci sono le risorse. O meglio, non ci sono per scelta politica ed economica. La sanità pubblica italiana è sottofinanziata da anni, compressa dentro vincoli europei sempre più stringenti. Dopo Maastricht, che ha imposto ai Paesi dell’eurozona di mantenere il deficit sotto il 3 per cento del Pil, è arrivato il Fiscal Compact, oggi pienamente in vigore e con effetti devastanti, che impone il pareggio strutturale di bilancio e una riduzione annua del debito pubblico di almeno 1/20 della quota eccedente il 60 per cento del Pil. Per l’Italia, significa tagliare decine di miliardi ogni anno per rispettare parametri stabiliti fuori dal nostro controllo democratico.
In questo contesto, parlare di investimenti nella sanità pubblica è quasi una bestemmia. Il Fiscal Compact rende impossibile assumere il personale mancante, aggiornare le tecnologie, potenziare la prevenzione. Eppure, l’Europa aveva imposto – con la direttiva 2003/88/CE – il rispetto di turni e riposi obbligatori per il personale sanitario. L’Italia l’ha recepita in ritardo con la legge 161/2014, entrata in vigore solo nel novembre 2015. Ma per renderla effettiva servivano e servono migliaia di nuove assunzioni: in Calabria, nel 2016, l’anno della specifica ricognizione, di almeno 1.298 operatori tra medici, infermieri e Oss. Assunzioni a lungo rinviate «per mancanza di fondi», che è l’eufemismo dietro cui si nasconde l’obbedienza cieca ai dogmi del rigore finanziario.
È il sistema dell’euro, fondato sull’emissione privata della moneta da parte della Bce, che impedisce agli Stati di finanziare direttamente la sanità, l’istruzione, i trasporti. Lo Stato italiano non può più creare moneta né indebitarsi liberamente per garantire i diritti fondamentali previsti dalla Costituzione. E così, mentre si celebrano i Livelli essenziali di assistenza, i cosiddetti “Lea”, il loro rispetto è diventato pura contabilità.
Nel Mezzogiorno, il disastro è totale. La ripartizione del Fondo sanitario nazionale, basata sulla “popolazione pesata” e non sulla reale morbilità, ha sottratto al Sud miliardi di euro. Alla Calabria mancano oltre 3 miliardi a contare dal 1999, secondo i calcoli dell’associazione di medici di base Mediass, di Catanzaro; cifra che avrebbe potuto salvare vite, mantenere reparti, garantire una sanità di prossimità. Invece, la narrativa dominante continua a colpevolizzare il Sud, accusandolo di sprechi e clientelismo, senza dire che i tagli sono frutto di scelte economiche centralizzate.
E mentre le aree montane si spopolano, la politica locale resta inchiodata alla polemica sterile. A San Giovanni in Fiore, ad esempio, alcuni comitati locali chiedono giustamente più medici per l’emergenza, ma ignorano la necessità di una riconfigurazione complessiva dell’ospedale: attivazione di una chirurgia generale con posti letto, terapia intensiva, percorsi attrattivi per i professionisti. Il rischio è che gli ospedali montani chiudano per esaurimento: non per decreto, ma per inerzia. Quando andranno in pensione i medici attuali, senza servizi e prospettive, nessuno vorrà più lavorarci. E l’unica eredità sarà un cartello sulla porta, con scritto sopra «chiuso per mancata programmazione».
Venerdì 23 maggio, allo Jure Café di San Giovanni in Fiore, si parlerà finalmente della riqualificazione degli ospedali montani, in un incontro tra meridionalisti, giornalisti e attivisti dei quattro Comuni calabresi dotati di presìdi montani. Un confronto raro, necessario, che potrebbe rompere l’isolamento e riaccendere la lotta per una sanità degna. Ma forse, per ottenere ascolto, anche questi ospedali – come quello di Cariati – avrebbero bisogno dell’interessamento di una rockstar internazionale. Perché se non c’è un Roger Waters a gridare «riaprite l’ospedale, subito», il destino è già segnato: la chiusura per logoramento. Waters lo aveva capito. E noi? «Another brick in the wall»? Sì, ma è pure tempo di buttare giù il muro del silenzio, dell’indifferenza, dell’opportunismo, della divisione politica e sociale.

Nella foto una protesta nel 2022 a difesa del presidio ospedaliero di Soveria Mannelli

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