“Reset”, narcotraffico, estorsioni e “gaming”: la ricostruzione e le pesanti richieste della Dda
Costante il riferimento alla “Confederazione”, formata da diversi gruppi gravitanti nella galassia criminale bruzia

CASTROVILLARI Sono quasi le 12 del 5 giugno quando nell’aula bunker di Castrovillari, il pm della Dda di Catanzaro Vito Valerio elenca – senza mai fermarsi – le richieste di pena avanzate nei confronti di 111 (10 le richiestedi assoluzione) imputati nel processo ordinario scaturito dall’inchiesta “Reset“: l’operazione che portò la Distrettuale di Catanzaro ad assestare un duro colpo alla Confederazione di ‘ndrangheta cosentina. La reazione silenziosa degli avvocati del Collegio difensivo fa intuire lo stupore per le richieste giunte al termine della requisitoria. Prima di una breve pausa, i legali prendono la parola per discutere della calendarizzazione delle arringhe, e l’avvocato Filippo Cinnante interviene: «Richieste che fanno tremare le gambe» e da qui la sollecitazione del Collegio difensivo nell’avere maggiore tempo a disposizione per preparare le discussioni. Che dovrebbero concludersi a fine giugno. Il condizionale è d’obbligo perché i tempi si sono già allungati rispetto alla dead line fissata e prevista per la requisitoria. In ogni caso, entro luglio, il Collegio giudicante (presidente Carmen Ciarcia, a latere Urania Granata e Iole Vigna) dopo una robusta camera di consiglio leggerà il dispositivo di sentenza.
La tesi della “Confederazione”
Dalle pene richieste emerge chiara la volontà dell’accusa di mantenere saldo il castello accusatorio. Nella ricostruzione – fatta nel corso della lunghissima requisitoria dai pubblici ministeri della Distrettuale di Catanzaro Vito Valerio e Corrado Cubellotti – è costante il riferimento alla “Confederazione“: il presunto “sindacato di ‘ndrangheta” formato da diversi gruppi gravitanti nella galassia criminale bruzia. Al vertice di questa struttura ci sarebbe Francesco Patitucci, oggi al 41 bis. Quest’ultimo ha scelto il giudizio abbreviato, ed è stato condannato a 20 anni di reclusione.
Secondo l’accusa, sarebbe lui «l‘autorevole ed indiscusso riferimento per tutti gli associati alla confederazione di ‘ndrangheta operante nella città e nell’hinterland cosentino, avendo assunto nel tempo le doti di ‘ndrangheta più elevate e corrispondenti a quella di “capo società”». Una figura cardine e capace di fare da collante tra i vari gruppi, da mediatore nelle questioni più spinose e pronto a delegare quando necessario al suo «delfino», Roberto Porcaro. Anche per l’ex collaboratore di giustizia, la pena in abbreviato è di 20 anni.
Stessa condanna emessa anche nei confronti di alcuni membri del clan degli “Zingari” meglio conosciuti come “Banana“: Antonio Abbruzzese (classe 1984), Luigi Abbruzzese, Marco Abbruzzese e Andrea Greco.
La “Confederazione” nel processo ordinario
Nell’ordinario invece, in attesa della sentenza, sono pesanti le richieste di pena avanzate nei confronti di Massimo D’Ambrosio (30 anni), di fatto considerato da chi indaga come uno dei vertici dei clan confederati.
Fiore Abbruzzese (chiesti 21 anni e 4 mesi) sarebbe uomo attivo nella criminalità bruzia sin dagli scontri tra zingari e italiani «periodo nel quale partecipa attivamente alla commissioni di omicidi funzionali alla definizione delle linee di potere criminale», fino al nuovo assetto confederativo «nel quale mantiene inalterata la sua disponibilità ad esporsi nei principali affari delittuosi del programma associativo».
Pena leggermente più alta (24 anni) quella richiesta per Rosaria Abbruzzese, considerata elemento attivo della cosca, non solo nella gestione dello spaccio di droga ma anche nel tenere la contabilità dei conti, «effettuando i conteggi dell’attività di spaccio, le somme da riscuotere dalle cessioni di stupefacente e quelle occorrenti per i nuovi acquisti di droga».
Le estorsioni e il “gaming”
Oltre al robusto capitolo dedicato al narcotraffico, in “Reset” l’accusa cristallizza numerosi episodi estorsivi. Tra gli imputati coinvolti nel processo ordinario e “impegnati” nell’attività estorsiva, ci sarebbero – tra gli altri – Ernesto Campanile (per lui sono stati chiesti 18 anni di reclusione) e Sergio Del Popolo detto “il saponaro” per il quale l’accusa ha avanzato una richiesta di condanna di 22 anni. Non solo droga e richieste di pizzo, la mala cosentina avrebbe tentato di lucrare e fare affari anche con il “gaming”: tramite l’attività di gestione di sale da gioco e scommesse abusive. In questo capitolo, i pm hanno ritenuto forti gli elementi investigativi raccolti e in grado di dimostrare la responsabilità di Giovanni Drago (chiesti 16 anni e 10 mesi).
I narcos della “Valle dell’Esaro”
La sentenza di primo grado del processo scaturito dall’inchiesta denominata “Valle dell’Esaro” aveva sostanzialmente riconosciuto la presenza nella vasta area del cosentino di una organizzazione dedicata al narcotraffico ma slegata dagli ambienti della ‘ndrangheta Cosentina. Tra i principali soggetti partecipi dell’associazione figurano Giuseppe Presta ed Antonio Presta, entrambi sono imputati anche nel processo “Reset“. La Dda ha richiesto nei loro confronti condanne pesantissime, rispettivamente a 20 e 30 anni di carcere: riconoscendo, dunque, un ruolo determinante all’interno del gruppo criminale. (f.benincasa@corrierecal.it)
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