COSENZA Si è chiusa oggi, nell’aula bunker di Castrovillari, la fase la requisitoria del processo ordinario scaturito dall’inchiesta denominata “Reset” contro la ‘ndrangheta cosentina. I pm della Dda di Catanzaro Vito Valerio e Corrado Cubellotti hanno invocato pene pesanti per gli imputati. Nelle prossime udienze, calendarizzate a giugno, la parola passerà agli avvocati del collegio difensivo per le arringhe. La sentenza è attesa a luglio.
Nel processo, iniziato nell’ottobre del 2023, sono stati sentiti oltre 100 testimoni: 35 agenti in servizio alla Polizia di Stato, allo Sco di Roma e alla Questura di Cosenza e Catanzaro; 75 militari in servizio alla Legione Carabinieri “Calabria”, Comando provinciale di Cosenza, Reparto Operativo, Nucleo Investigativo e Nucleo Operativo Radiomobile; 27 agenti in servizio alla Guardia di Finanza di Cosenza (Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria-Sezione Mobile) e di Reggio Calabria (Nucleo Speciale di Polizia Valutaria).
Numerosi anche i collaboratori di giustizia escussi. Da Celestino Abbruzzese alias Micetto e legato al clan dei “Banana” di Cosenza a sua moglie Anna Palmieri, da Franco Bruzzese a Luciano Impieri. Uomini e donne, un tempo, considerati parte integrante della galassia criminale bruzia, oggi chiamati a raccontare – nei dettagli – l’evoluzione dei sodalizi operanti in provincia di Cosenza e appartenenti alla presunta “Confederazione”. Una tesi quella del nucleo unitario dei gruppi di ‘ndrangheta sostenuta dalla procura, ma respinta con decisione dal boss cosentino Francesco Patitucci. L’ex capo del clan degli “Italiani“, in un’udienza del processo scaturito dall’inchiesta “Bianco e Nero“ ha reso dichiarazioni spontanee e negato qualsiasi addebito legato ad un suo ruolo nel “sindacato” criminale. Di diverso avviso, invece, il pentito Daniele Lamanna secondo il quale «la Confederazione è stata attiva fino al 2014».
Un primo verdetto giudiziario era già stato emesso nei confronti di coloro che hanno optato per il procedimento celebrato con il rito abbreviato e al termine del quale la gup, Fabiana Giacchetti, aveva deciso la condanna a dieci secoli di 82 imputati, disponendo anche 37 assoluzioni. A capo della presunta Confederazione della mala bruzia ci sarebbe proprio «Francesco Patitucci», per il boss – oggi al 41 bis – la condanna inflitta in abbreviato è di 20 anni.
Secondo l’accusa, sarebbe lui «l‘autorevole ed indiscusso riferimento per tutti gli associati alla confederazione di ‘ndrangheta operante nella città e nell’hinterland cosentino, avendo assunto nel tempo le doti di ‘ndrangheta più elevate e corrispondenti a quella di “capo società”». Una figura cardine e capace di fare da collante tra i vari gruppi, da mediatore nelle questioni più spinose e pronto a delegare quando necessario al suo «delfino», Roberto Porcaro. Anche per l’ex collaboratore di giustizia, la pena in abbreviato è di 20 anni.
Stessa condanna emessa anche nei confronti di alcuni membri del clan degli “Zingari” meglio conosciuti come “Banana“. Si tratta di Antonio Abbruzzese (classe 1984), Luigi Abbruzzese, Marco Abbruzzese e Andrea Greco detto “U Tupinaru”.
Il processo “Reset” ha riservato numerosi colpi di scena. Su tutti, il pentimento seguito da clamorosi dietrofront prima di Danilo Turboli e poi di Roberto Porcaro, entrambi legati al clan degli “Italiani”. I due dopo aver riempito interi verbali di interrogatorio resi dinanzi ai magistrati della Distrettuale, accusandosi a vicenda di numerose condotte illecite, hanno ritrattato asserendo di essersi inventati racconti lontani dalla realtà. Chi ha scelto di proseguire il proprio percorso di collaborazione con la giustizia sono Ivan Barone e Francesco Greco.
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