Skip to main content

Ultimo aggiornamento alle 23:51
Corriere della Calabria - Home

I nostri canali


Si legge in: 5 minuti
Cambia colore:
 

il controllo

L’estorsione “ambientale” imposta agli imprenditori cosentini

Il riferimento è ad un passaggio delle motivazioni della sentenza del processo abbreviato “Reset”. «Vittime già rassegnate»

Pubblicato il: 22/06/2025 – 6:59
di Fabio Benincasa
00:00
00:00
Ascolta la versione audio dell'articolo
L’estorsione “ambientale” imposta agli imprenditori cosentini

COSENZA Le operazioni portate a termine negli ultimi anni a Cosenza e nell’hinterland bruzio hanno permesso di decapitare i presunti vertici di alcuni dei gruppi gravitanti nell’orbita della Confederazione di ‘ndrangheta cosentina. Blitz e arresti hanno stravolto le organizzazioni, costretto ad una redistribuzione dei ruoli e dei territori di competenza ed anche ad inserire nuove figure in grado di colmare il vuoto lasciato da destinatari di misure cautelari. Dei cambiamenti in seno alla mala bruzia ci siamo già più volte occupati, la nascita della Confederazione sarebbe – qualora venisse acclarata – il simbolo di un cambiamento radicale rispetto ad un passato segnato da sanguinose faide e morti ammazzati. Tuttavia a mutare sono anche i comportamenti delle new entry nella galassia criminale bruzia, è lo stesso Francesco Patitucci ad ammettere che «nell’organizzazione criminale, ai suoi tempi, quelli più alti in grado – “i capizzuni” – avevano anche il compito di vigilare e di tenere a freno l’esuberanza delle giovani leve, cosa che oggi non accadeva più». Quel ruolo di capo o di “capizzune” avrebbe dovuto svolgerlo proprio il vertice del clan Lanzino ma è lo stesso boss ad ammettere qualche difficoltà nel tenere a freno le sfuriate di qualche sodale. «Io non posso frenare a nessuno!… Lo sai perché?… L’ambiente che c’è oggi… a me piace che io sono onesto e dignitoso… a me piace uscire a piedi… io… se mi mettessi a “friculiare” su di uno e su di un altro… si fanno una bottiglia di vino e mi tirano una fucilata e mi gettano in una scarpata…».
Cambiano gli uomini e le donne, ma non i business che alimentano la bacinella comune: droga, estorsioni ed usura. Sono proprio le estorsioni perpetrate da alcuni soggetti imputati nel processo “Reset” a consentire alla gup Fabiana Giacchetti di tratteggiare – nelle motivazioni della sentenza del processo abbreviato alla mala cosentina – i contorni delle richieste e delle imposizioni nei confronti di imprenditori cosentini.

L’estorsione “ambientale”

Quello che si deduce dalla ricostruzione fornita è la natura dell’estorsione che «può assumere anche carattere “ambientale” nei casi in cui l’attività coercitiva sia perpetrata da soggetti notoriamente inseriti in pericolosi gruppi criminali, che spadroneggiano in un determinato territorio, finendo per essere tale attività immediatamente percepita dagli abitanti di quella zona come concreta e di certa attuazione, stante la forza criminale dell’associazione di appartenenza del soggetto agente». In buona sostanza, la notorietà criminale dei gruppi criminali sarebbe sufficiente ad ottenere il pagamento della tassa non dovuta. Una circostanza acclarata «dai comportamenti delle vittime, che, in alcuni casi, hanno immediatamente cercato di avere un contatto con i maggiorenti della cosca e, in altri, hanno adempiuto alla richiesta senza porsi troppi interrogativi». In alcuni episodi ripercorsi nelle motivazioni, la gup segnala alcuni casi in cui un determinato gruppo criminale «non ha neanche dovuto compiere alcun gesto intimidatorio essendosi la vittima già rassegnata e adoperata per pagare con cadenze regolari la tangente». In altre situazioni, invece, le vittime non essendosi attivate per ricercare un referente criminale con cui discutere, hanno «subito atti intimidatori impassibili di interpretazione alternativa, che in alcuni casi hanno sortito l’effetto di disporre il pagamento».

Il «Sistema»

Il pizzo rappresenta una fonte di guadagno per i clan. A rafforzare l’ipotesi accusatoria poi diventata certezza nella sentenza emessa, vi sono anche una serie di dichiarazioni rese da alcuni collaboratori di giustizia direttamente coinvolti nel mondo criminale cosentino. Tra questi spicca Celestino Abbruzzese detto “Micetto”, membro storico dei “Banana“. In merito alle estorsioni perpetrate in danno dei commercianti ad opera delle cosche cosentine riferisce, nel 2019, i dettagli degli illeciti proventi «raccolti in comune da affiliati ad entrambe le consorterie (…) poi divisi tra i clan». Accanto alle rivelazioni del pentito si aggiungono quelle fornite da sua moglie Anna Palmieri, diventata collaboratrice di giustizia. La donna suggerisce ulteriori elementi e parla di «Sistema» quando si riferisce al «circuito ammesso per commettere certi tipi di delitti». Seguendo il racconto della collaboratrice, «bisogna essere affiliati a qualche gruppo ed essere autorizzati a svolgere queste attività delittuose, altrimenti se ne pagano le conseguenze». Nelle dichiarazioni rese, Palmieri parla anche della cassa comune o “bacinella” nella quale confluivano i proventi illeciti. «Il Sistema e la Bacinella, camminano insieme», ed ancora la suddivisione tra Italiani e Zingari non esiste più, dal momento che «per le estorsioni la Bacinella è una sola e lutti quanti i gruppi attingono da quella». A rafforzare la tesi esposta è la stessa Palmieri quando ammette di «aver partecipato personalmente a riunioni nelle quali si discuteva dello spaccio di sostanza stupefacente e della gestione delle estorsioni nei confronti degli esercizi commerciali».

Il controllo sul territorio

Piegare i commercianti e gli imprenditori con l’imposizione del pizzo (ma non solo), rappresenta un elemento cardine nel processo di affermazione di una organizzazione criminale su un determinato territorio. D’altro canto, come emerge dalla sentenza, tutti i sottogruppi della confederazione avrebbero supervisionato una determinata porzione di territorio di Cosenza, secondo una rigida spartizione. La maggior parte degli episodi criminosi «sono rappresentati da estorsioni – consumate o tentate -, usure ed esercizi abusivi del credito, oltre che l’attività di spaccio». Si tratta di reati in grado di consentire «alla consorteria di mantenere il controllo sul territorio e rafforzare la potenza criminale della cosca». (f.benincasa@corrierecal.it)

Il Corriere della Calabria è anche su WhatsApp. Basta cliccare qui per iscriverti al canale ed essere sempre aggiornato

Argomenti
Categorie collegate

x

x