Un artista di genio prestato all’avvocatura. Cosenza piange Nicola Martino
Muore a 78 anni il pittore di Pietrafitta che nei suoi quadri ha raccontato le storture della giustizia. I figli: «Una mostra per celebrarlo»

COSENZA Giudici mostrificati e senza volto, l’Italia – una donna pavesata di drappi tricolori – violentata, il requiem della giustizia dipinto con pennellate nette: è la poetica di Nicola Martino, l’avvocato prestato all’arte, pittore immaginifico che ha donato alla città (e non solo) le sue visioni ma anche le sue suggestioni di uomo libero e controcorrente. Martino, 78 anni, è morto all’ospedale dell’Annunziata nella notte tra venerdì e sabato a seguito di alcune complicazioni. Chiude così il percorso di un “pittore del tempo interiore”, capace di rendere eterni – con la sola forza del pennello – un’ombra di scala in paese, un volto attraversato dalla luce o la tragicommedia della vita pubblica italiana.
I funerali si terranno alle 18 di domani, lunedì 23 giugno, nella sua Pietrafitta, nella chiesa di San Nicola.
Paesaggi, ritratti e giustizia le sue macro aree di produzione. Un suo grande formato a tema giustizia fa da sfondo, da anni, alle riunioni e alle conferenze stampa nella saletta delle commissioni all’ultimo piano di Palazzo dei Bruzi: quasi in omaggio a una poetica dantesca del trasferire il vissuto in arte, eternandolo, Martino ha messo su tela i personaggi della vita reale e più d’uno avrà individuato – in uno dei protagonisti di quel quadro convulso come un girone dell’Inferno – i lineamenti di Lamberto Dini.
Tra memoria e visione
Alcuni tratti essenziali della biografia non possono prescindere dagli studi universitari a Firenze: conclude Giurisprudenza ma passa il tempo libero negli Uffizi e a Palazzo Pitti. L’esposizione alla pittura rinascimentale influenza in modo decisivo il suo disegno “a contorno pieno”, il chiaroscuro da modellato scultoreo e il gusto per la figura intera. Primo ciclo di mostre itineranti in Toscana, Emilia‑Romagna e Svizzera; già in queste tele riaffiora la Calabria mitizzata: scalinate, archi, calce corrosa dal tempo. Negli anni a seguire approfondirà il figurativismo classico senza mai scimmiottare l’accademia: figure ferme ma sguardi vivi, incarnati costruiti con velature sottili (si veda il Ritratto in rosso, dove l’ocra traspare sotto i toni prugna dell’incarnato). Espone in gallerie a Milano, Torino, Colonia e Montréal, grazie anche alla rete di emigrati calabresi che sostengono la sua pittura identitaria. Nel 1990 si trasferisce a Roma e, con Veneziani, Guio, Battelli, Picazio e Ferlisi, fonda il “Gruppo dei 6”: sei figurativi che condividono la sede di Palazzo Margutta (via Margutta 55) con l’obiettivo di sottrarre la pittura d’immagine alle mode trans‑avanguardiste. Le figure grottesche in toga e le tele corali sulle deformazioni del potere giudiziario nascono in questi anni (es. Il Processo delle Catene, 1994), dipinte a pennellate nervose e toni cupi: satira, non cronaca; allegoria, non illustrazione. Tornato in Calabria, dipinge paesaggi urbani calabresi: scalinate di pietra assolata, vicoli nevosi, tetti fumanti all’alba. In questi scorci, l’intonaco rosato e l’azzurro cobalto del cielo si fanno metafora della resistenza delle comunità di provincia. Partecipa a rassegne come LimenArte e ad iniziative culturali dell’Università della Calabria.
Una mostra per celebrarlo
Nicola Martino lascia oltre 850 dipinti e centinaia di disegni. Nel giugno 2025 la famiglia avvia l’archivio digitale e l’inventario ragionato delle opere; molte entreranno in collezioni pubbliche del Mezzogiorno. Un Hemingway con il gusto della chiacchiera, la paglietta immancabile come il sigaro, la barba folta e canuta. Negli ultimi anni, Martino si era ritirato nel suo atelier di Falconara Albanese (qui è stato anche presidente della Proloco di Torremezzo ai tempi d’oro), tra gatti e pennelli, in una ventilata terrazza affacciata sul Tirreno cosentino. Poi aveva eletto Pietrafitta a buen retiro. Qui, domani, i tanti che gli hanno voluto bene gli daranno l’ultimo abbraccio. E intanto i figli Marida, Mauro e Marzia propongono di esaudire il suo ultimo desiderio: una mostra collettiva con tutta la sua produzione. Sarebbe il giusto tributo a un artista appartato eppure fondamentale. (e.furia@corrierecal.it)
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