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“madrine di ‘ndrangheta”

I clan radicati al Nord e il ruolo delle donne, «cordone ombelicale della ‘ndrangheta» – VIDEO

Presentato a Roma il libro della giornalista Federica Iandolo: «Necessario scardinare gli stereotipi per capire il fenomeno»

Pubblicato il: 25/06/2025 – 16:18
di Mariateresa Ripolo
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I clan radicati al Nord e il ruolo delle donne, «cordone ombelicale della ‘ndrangheta» – VIDEO

ROMA «Non va da nessuna parte, anche per una questione di sicurezza, lo devi vedere come un grande onore… è venuto per dirmi ok, di andare avanti…». A parlare in una intercettazione chiave dell’inchiesta della Procura di Bologna che ha smantellato l’organizzazione facente capo al clan di Cutro Grande Aracri attivo a Reggio Emilia, è una donna, Roberta Tattini, in carcere per concorso esterno in associazione mafiosa. Una donna, non legata direttamente al clan e che poteva sembrare apparentemente lontana dalle logiche criminali, ma che stando a quanto emerso dall’inchiesta “Aemilia” si sarebbe messa «a completa disposizione» del boss Nicolino Grande Aracri. Per lei incontrarlo – come afferma nelle conversazioni captate – è stato «un grande onore». Parla di questa e di altre figure femminili che giocano un ruolo chiave in un mondo «solo apparentemente maschile», la giornalista e scrittrice Federica Iandolo nel suo libro “Madrine di ‘ndrangheta”, con la prefazione di Anna Sergi. Un’analisi approfondita, a partire dalle dinamiche che interessano i clan che si sono radicati nelle regioni del Nord Italia e in particolare dall’inchiesta che ha portato all’arresto di oltre 100 persone.

Il ruolo delle donne: tra potere e «fascinazione per il crimine»

Il libro è stato presentato a Roma nella sede dell’Associazione stampa estera. Insieme all’autrice l’esperto Enzo Ciconte e la giornalista Constanze Reuscher. A moderare l’evento la giornalista Laura Aprati.
«Nella ‘ndrangheta la donna ha una funzione centrale. È anche presente nelle faide, può farla continuare e può farla finire», ha spiegato nel corso del suo intervento Ciconte, che analizzando i tratti caratteristici delle associazioni mafiose ha osservato: «Noi parliamo di quattro mafie in Italia, la ‘ndrangheta, Cosa nostra, la Camorra e la Sacra corona unita, tutti nomi femminili per organizzazioni che hanno il maschilismo come tratto essenziale». Un tratto dunque solo apparente, che in “Madrine di ‘ndrangheta” viene analizzato a fondo. «Delle donne della mafia siciliana di sa qualcosa, ma delle donne di ‘ndrangheta, soprattutto al nord, non si conosce molto», ha osservato la giornalista Constanze Reuscher, che ha sottolineato come spesso nel Nord Italia, e nel caso specifico a Reggio Emilia, abbia potuto osservare «un clima di negazionismo dell’esistenza della mafia. Spesso non si accetta l’evidenza che i clan siano stati in grado di radicarsi in certi territori».
E riguardo al ruolo delle donne si è parlato anche di una sorta di «fascinazione per il crimine e per il potere», evidenziato dalle ricostruzioni che vedono coinvolte donne che diventano figure di riferimento per i clan.

Iandolo: «Le donne nei clan ricoprono un ruolo fondamentale»

«In realtà le donne ricoprono un ruolo fondamentale. Ho scoperto – spiega la giornalista e scrittrice Federica Iandolo al Corriere della Calabria – nello studio di queste figure, specialmente nei luoghi non tradizionali come quello da cui vengo io, quindi l’Emilia-Romagna, che ci sono donne, con caratteristiche peculiari che non si erano mai viste in precedenza. Se noi pensiamo che la ‘ndrangheta viene definita una società maschile, in realtà tutto quello che è femminile è preponderante. Un pentito, Valerio Antonio, che è un collaboratore di giustizia che ha parlato nel processo Aemilia, ha definito le donne “il cordone ombelicale della ‘ndrangheta“. Quindi deduciamo: nutrimento, fondamento, l’humusm perché la donna è colei che è non solo procrea e quindi dà al clan nuove leve da crescere secondo la cultura mafiosa, ma anche colei che se vuole può rompere tutto il sistema tradendo, andandosene. In lei risiede il concetto di onore che ancora è così forte in certi contesti». «Mentre nel Nord Italia – spiega ancora Iandolo – le donne che ho conosciuto sono donne che non hanno questa cultura mafiosa dentro di loro e quindi vivono in modo estremamente indipendente questo approccio al clan». Roberta Tattini (condannata per concorso esterno a 8 anni) e Karima Bachaaoui (latitante, condannata per associazione mafiosa) ne sono un esempio. «Sono donne che sono state imputate e poi condannate. Andavano a gestire affari anche in modo del tutto indipendente con delega del boss Nicolino Grande Aracri». E un altro esempio di donna che prende in mano le redini del clan è quello di Rosita Grande Aracri, figlia di Francesco Grande Aracri, capo del clan di Brescello. «Lei – spiega Iandolo – è sotto processo proprio per 416 bis perché ha preso in toto le redini degli affari del padre e dei fratelli che sono in carcere per associazione mafiosa. Lei gestisce completamente tutto, e infatti è andata anche a Cutro a parlare col grande boss Nicolino per portare avanti il business del padre».

«Necessario scardinare gli stereotipi»

«C’è un c’è un grande fermento, un grande mutamento: sono donne tutte diverse, lo stereotipo non deve più esistere, bisogna scardinarlo per capire meglio questo fenomeno». Le donne di ‘ndrangheta possono dunque fare la differenza nelle dinamiche criminali. «Possono farlo in senso positivo e possono farlo in senso negativo, – spiega Iandolo – la donna ha molto più potere di quello che si pensi. Può scegliere di diventare un grande boss, surclassare gli uomini o può scegliere anche di tradire, di andarsene, di portare via i figli e quindi distruggere, creare una crepa talmente forte che le fondamenta, la famiglia che in molti casi coincide con il clan, si frantuma. Per questo la donna non viene mai perdonata e viene uccisa in modo barbaro se tradisce, perché è insito in lei l’onore del clan». (m.ripolo@corrierecal.it)

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