La cocaina non pagata dai catanesi: il debito che ha incrinato l’asse Sicilia-Calabria
L’acquisto di droga non saldato da “Zio Pino” Scuto, legato al clan Laudani, ha messo a rischio il business coi calabresi, salvato poi dal boss scarcerato

LAMEZIA TERME Un debito maturato per l’acquisto di un carico di cocaina ha rischiato di compromettere i rapporti tra siciliani e calabresi. Questione di “rispetto” oltre che di soldi e, soprattutto, di contatti che, se compromessi rischiano di far saltare un business redditizio per molte persone. C’è anche questo nell’inchiesta “Lumia” della Guardia di Finanza di Catania che vede indagate 20 persone, di cui 8 finite in carcere. Il blitz, eseguito su ordine del gip Dorotea Carena, su richiesta della Dda del capoluogo etneo. Soggetti a vario titolo ritenuti appartenenti ad un gruppo criminale di tipo mafioso, attivo nel territorio etneo e con ramificazioni nel Nord Italia.
L’affare di droga coi calabresi e il debito non saldato
E non mancano come già visto in passato i legami con la Calabria. È l’ottobre del 2022 quando la pg – su delega della Distrettuale antimafia di Catania – si imbatte in una serie di conversazioni che, almeno per un po’, non lasciavano presagire nulla di buono. Come ricostruito dalle indagini, ad aver acquistato “a credito” il carico sarebbe stato Giuseppe Scuto, noto come “Zio Pino” o “U Lungu”, classe ’63, finito in manette nel blitz. Una notizia che ha acquisito sempre maggiore importanza da quando era arrivata all’orecchio dal reggente Orazio Salvatore Scuto “U Vetraro”, classe ’59, ritenuto il «responsabile per il gruppo di Aci Catena» del clan Laudani o “Mussi i Ficurinia” il quale, dal carcere, «impartiva perentorie disposizioni a cui gli affiliati si attenevano», scrive il gip nell’ordinanza. E ad aggiornarlo sarebbe stato Antonino Di Pino, cl. ’97 di Acireale (anche lui arrestato), assolvendo i suoi compiti. Dal suo racconto, infatti, sarebbe emerso che Giuseppe Scuto «si sarebbe recato in Calabria» l’8 ottobre 2022 per proporre una dilazione del pagamento ai fornitori. I calabresi, però, avrebbero manifestato propositi belligeranti.

L’intervento del boss
Un impiccio non di poco conto per “U Vetraru” che, intervenendo a gamba tesa, aveva informato i sodali di riferire ai calabresi che la “copertura” del debito sarebbe stato direttamente «un affare del clan». Gli inquirenti lo acquisiscono da una conversazione particolarmente tesa tra il boss Scuto e Salvatore Faro (cl. ’76) anche lui arrestato. «(…) è un eretino non lo sai? Ma perché quei ragazzi l’hanno maltrattato allora quei ragazzi? (…) poi quando esco io, gli tiro le orecchie a questo “lungo “» dice Orazio Scuto riferendosi a “Zio Pino” Scuto. Poi chiude il discorso: «tu gli puoi dire, se vengono, state tranquilli che corrisponde al 110, ci siamo noialtri addosso, argomento chiuso». Il quadro andava sempre più delineandosi, soprattutto dopo la telefonata diretta tra Orazio e Giuseppe Scuto. “U Lungu”, infatti, confermava al boss che la droga «gli era stata effettivamente fornita a credito dai soggetti calabresi», i quali sarebbero stati contattati grazie alla mediazione di un terzo soggetto, tale “Michele”. Poi, la parte più importante: il debito. E a detta di “Zio Pino” Scuto ammontava a 70mila euro, onorato per solo 50mila. «(…) abbiamo incassato e abbiamo fatto arrivare fino a casa pure tutti i soldi… io ho fatto un errore e ne sona consapevole e ora ci vado appresso io a questo errore… però non ho fatto tutto di testa mia perché tutti quanti erano al corrente…» spiega Giuseppe Scuto ad Orazio.

La presunta intimidazione in Calabria
Nella conversazione, inoltre, ancora “U Lungu” racconta al boss di essere stato addirittura intimidito in occasione del viaggio in Calabria risalente proprio all’8 ottobre 2022. Il siciliano nel suo racconto fa riferimento ad un viaggio «dall’altra parte» e di essere stato portato in un giardino. Ed è qui che il racconto sfiora quasi il grottesco. «(…) nel giardino trovo uno con una maschera vestito tipo a quelli tinti calabresi…» e ancora: «una maschera, il cappello e una cosa verde militare e cominciano a parlare di questo, di quello, dell’altro, di questa perdita di un socio suo…». Dopo il particolare incontro, Scuto racconta ad Orazio di essere andato via dopo essersi voltato e detto «arrivederci» ma, poco dopo aver salutato i calabresi, avrebbe ricevuto una loro telefonata: «vi fermate che vi offro il caffè?». Invito prontamente rifiutato dal catanese, manifestando anche una certa “inquietudine” condivisa, peraltro, con Orazio Scuto che lo invita a «non andare da nessuna parte, scendono loro».
Le “tensioni” con i calabresi
Come ricostruito dagli inquirenti, il prolungato inadempimento «destava accese tensioni, essendo rimasto coinvolto nel mirino dei creditori lo stesso Salvatore Faro», il quale vantava contatti diretti con i fornitori calabresi. A questo punto il boss Orazio Salvatore Scuto decide di scendere direttamente in campo e «interloquire personalmente con i calabresi», riporta il gip nell’ordinanza. «E va bene, noi ne abbiamo tanta pazienza, siamo nati con la pazienza» e ancora: «Qui siamo, quello che dici tu facciamo…». I calabresi – in particolare tale Alfredo – si dimostrano (almeno in apparenza) comprensivi mentre al telefono, parlando con Scuto, capisce che per i soldi è ancora tempo di attendere. Di lì a poco nella discussione sarebbe intervenuto anche Aleo, il quale avrebbe chiesto l’autorizzazione a trattare coi calabresi per un futuro acquisto di droga. E sarà proprio lui a riferire al boss Orazio Scuto che «i calabresi avevano programmato di recarsi in Sicilia per il susseguente giorno “28” per ricevere il denaro da Giuseppe Scuto» ma, anche stavolta, aveva manifestato la volontà di temporeggiare. La goccia che fa traboccare il vaso perché Orazio Scuto, tanto appreso, avrebbe ordinato ad Aleo di convocare Mafalda e Campagnolo e andare a “pestare” Scuto che si stava prendendo gioco di tutti. «(…) a suo fratello pestalo e anche a suo figlio se parlano assai… pestali ascoltami, va bene?».

La consegna dei soldi
La storia ha un’evoluzione il 23 novembre 2022 e gli inquirenti lo intuiscono dal dialogo tra Orazio Scuto e Angelo Puglisi (cl. ’81), anche lui finito in carcere.
In programma, infatti, ci sarebbe stato un nuovo incontro con i calabresi per risolvere definitivamente la situazione debitoria. Il debito di Pino Scuto, infatti, doveva essere saldato con urgenza per non guastare i rapporti tra i siciliani e i calabresi in vista di altri acquisti di droga. Nel corso del dialogo, però, Puglisi informa il boss di aver tentato di mediare personalmente con il fornitore calabrese. Quest’ultimo, però, evidentemente indispettito, pare si fosse impegnato a risolvere la controversia personalmente, senza escludere l’uso della violenza. Giuseppe “U Lungu”, intimorito sia dalle minacce dei creditori sia dalla reazione di Orazio Scuto, «si determinava ad coprire parzialmente il debito», consegnando ai calabresi 15mila euro. Dopo l’incontro con i calabresi, Orazio Scuto impone ai suoi sodali di interrompere i rapporti, «impegnandosi a trattare personalmente con i creditori una volta scarcerato», riporta il gip nell’ordinanza. «Quando esco ci vado io personalmente, hai capito? Togliamo il problema». (g.curcio@corrierecal.it)
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