Caso Almasri, la lettera della Libia all’Italia per il rimpatrio
Il carteggio tra Roma e Tripoli pubblicato da Repubblica

ROMA Il 20 gennaio scorso, due giorni dopo l’arresto a Torino del generale Almasri, l’ambasciatore libico in Italia Muhanad Seed Younous ha inviato una lettera indirizzata al ministro degli Esteri Antonio Tajani con la quale ha trasmesso la richiesta della procura di Tripoli di «rimpatrio di un cittadino libico», in riferimento al caso del torturatore sul quale pende un mandato di arresto della Cpi. Un documento sul quale si basa la strategia italiana per spiegare il rimpatrio del militare in Libia duramente contestato dalla corte, la cui procura ha valutato come «inadempiente» il governo italiano accusandolo di aver «impedito alla Corte di esercitare le sue funzioni». I documenti allegati all’istanza della procura Cpi sono stati pubblicati in esclusiva da Repubblica, a partire dalla lettera dell’ambasciatore libico: dopo aver espresso «profondo apprezzamento per i solidi legami bilaterali tra le nostre due nazioni, un modello di riferimento per la cooperazione bilaterale tra i nostri due popoli», Muhanad Seed Younous si dice «lieto di allegare a questa corrispondenza la lettera comunicata dall’Ufficio del Procuratore Generale dello Stato di Libia, datata 20 gennaio 2025, indirizzata al Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Roma nella Repubblica Italiana e relativa alla richiesta di “Rimpatrio di un cittadino libico”». Il diplomatico libico, «con profonda gratitudine», auspica quindi che Tajani «deferisca la questione alle autorità competenti e vi dia seguito al fine di raggiungere obiettivi comuni e rafforzare la cooperazione giudiziaria, al servizio della giustizia e nel rispetto dei suoi principi». Secondo la Cpi, dalla richiesta libica risulta chiaro che non si tratta di una richiesta di estradizione, scrive Repubblica. Nel documento si fa riferimento al mandato Interpol contro Almasri sulla base della quale gli agenti di Torino hanno proceduto all’arresto. Ma l’ordine Interpol «emesso su richiesta della Corte Penale Internazionale» riguarda «un cittadino libico perseguibile penalmente dalla magistratura nazionale dello Stato di Libia, con la giurisdizione del Procuratore Generale a indagare sui crimini a lui attribuiti», sostiene Tripoli. Sulla base di questo principio, secondo la procura libica, l’indagine Cpi «viola il principio consolidato secondo cui la corte agisce in modo complementare alle giurisdizioni penali nazionali». Il documento prosegue sostenendo infatti che «dato che l’Ufficio del Procuratore generale della Libia aveva avviato indagini penali su fatti che potrebbero corrispondere alle dichiarazioni presentate dalla Cpi nella sua richiesta all’Interpol, la Corte Penale Internazionale non ha accertato la volontà» dell’ufficio libico «di perseguire un’azione legale sui fatti attribuiti all’individuo di cui è stato richiesto il rimpatrio». Questo punto – evidenzia Repubblica – è stato contestato dalla procura della Cpi: la procedura in quella fase non prevedrebbe infatti alcun tipo di interlocuzione fra la Corte e Tripoli. E il mandato Interpol conteneva semplicemente un elenco dei reati violati senza alcun riferimento a circostanze specifiche, mentre solo il 24 gennaio sono stati resi pubblici fatti, circostanze e contestazioni.
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