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inchiesta “oikos”

«Parliamo coi ferri». Lo spaccio a Reggio e il “recupero crediti” tra schiaffi, pistole e minacce

I riferimenti alle «modalità violente» per la riscossione dei debiti, anche attraverso l’uso di armi: «Lo spacco tutto»

Pubblicato il: 19/07/2025 – 11:26
di Mariateresa Ripolo
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«Parliamo coi ferri». Lo spaccio a Reggio e il “recupero crediti” tra schiaffi, pistole e minacce

REGGIO CALABRIA Schiaffi, pugni, minacce e percosse. Dialoghi dai quali emerge come il sodalizio criminale avesse messo in piedi una «capillare attività di “recupero crediti”» nei confronti di acquirenti di sostanza stupefacente. E’ quanto emerge – scrive il gip – «in maniera lampante» nelle carte dell’inchiesta Oikos della Dda di Reggio Calabria, che ha portato a 35 misure cautelari. Le indagini hanno permesso di documentare una frenetica, capillare e quotidiana attività di spaccio di sostanze stupefacenti realizzata attraverso una fitta rete di clienti abituali e fornitori.
La regia, per il traffico di sostanze stupefacenti, veniva da San Roberto, in provincia di Reggio Calabria, ma le proiezioni arrivavano ben oltre, andando a toccare tutta la provincia reggina e la Sicilia. Al vertice, secondo le indagini, c’era Antonio Caracciolo. Per l’accusa con il ruolo di «promotore, dirigente, organizzatore e finanziatore dell’associazione».

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Violenze e minacce per riscuotere i debiti

Nelle numerose intercettazioni captate dagli investigatori ci sono chiari riferimenti alle «modalità violente» attraverso le quali avveniva la riscossione dei debiti, anche attraverso l’uso di armi per spaventare i debitori inadempienti. Un quadro dal quale emergono i ruoli di Paolo Mottareale e Paolo Sapone, i quali si recavano dai debitori per «costringerli a versare quanto dovuto, ricorrendo a minacce ed aggressioni fisiche». Una attività di «recupero crediti» attraverso «modalità estorsive» nei quali – secondo quanto emerso – era stato coinvolto anche Domenico Caracciolo, figlio del capo, all’epoca dei fatti minorenne. Nell’ordinanza si parla di «violente pratiche di riscossione», che il gruppo metteva in atto «non disdegnando l’utilizzo di “maniere forti” per convincere i debitori ad adempiere».

«Parliamo con i ferri (pistole)»

E le riunioni per mettere a punto le strategie da mettere si svolgevano proprio nell’abitazione di Antonio Caracciolo, dalla quale l’uomo impartiva gli ordini e gestiva tutta l’attività del gruppo.
«Lo picchio io», «gli diamo botte», «lo spacco tutto». Si faceva riferimento a «schiaffi» e percosse. Nelle intercettazioni gli indagati manifestavano così la chiara volontà di fare ricorso alla laddove i debitori non fossero stati puntuali nei pagamenti dei debiti.
Addirittura, con riferimento alla situazione di un “debitore”, Caracciolo ordinava che, in quel caso, avrebbero dovuto ricorrere all’uso delle armi «parliamo con i ferri (pistole) e faccio che gli … incomprensibile… tutto», così dimostrando, – scrive il gip – ancora una volta, che si trattasse di una associazione armata. 

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