Riferimenti a «olive» su un «trattore», ma trasportavano droga tra Reggio e Catania. «Abbiamo scaricato tutte le cassette»
Nelle conversazioni intercettate il linguaggio in codice per «celare il reale oggetto del trasporto». La rete costituita da un gruppo calabrese e uno siciliano

REGGIO CALABRIA Riferimenti a un «carico di olive», al trasporto su un «trattore», oltre che all’arrivo da un «frantoio», ma gli indagati dell’inchiesta Oikos della Dda di Reggio Calabria si riferivano al trasporto di ben altro. Emerge nelle carte dell’inchiesta che ha fatto luce su una capillare attività di spaccio di sostanze stupefacenti realizzata attraverso una fitta rete di clienti abituali e fornitori. Cocaina, crack, hashish, marijuana e non solo: nelle conversazioni si fa anche riferimento al fentanyl. La regia veniva da San Roberto, in provincia di Reggio Calabria, ma le proiezioni arrivavano ben oltre, andando a toccare tutta la provincia reggina e la Sicilia. Al vertice, secondo le indagini, c’era Antonio Caracciolo, per l’accusa con il ruolo di «promotore, dirigente, organizzatore e finanziatore dell’associazione».
La rete tra Reggio Calabria e Catania
Il business degli stupefacenti – secondo quanto emerso – era gestito in modo «ben organizzato e professionale, ripartendo le competenze di ciascuno ed individuando appositi nascondigli e locali idonei alla custodia della droga». Due i gruppi in affari: uno costituito dal nucleo calabrese guidato da Caracciolo, l’altro siciliano e in particolare catanese che faceva riferimento al primo per garantirsi la fornitura. Due gruppi, ma «un’unica e unitaria associazione a delinquere», «attesa la riscontrata solidità dei rapporti tra i due gruppi, la condivisione di risorse materiali» e «l’affidamento reciprocamente riposto da ciascuno dei due gruppi». Sarebbe stato proprio Caracciolo a decidere modalità e prezzi; a curare «i rapporti tra i sodali siciliani e quelli calabresi, organizzando i trasporti dì stupefacente e le relative transazioni dalla Calabria alla Sicilia, nonché le trasferte dei siciliani in Calabria per le varie riunioni organizzative e per le contrattazioni relative alla sostanza stupefacente».
Il linguaggio in codice
Rilevanti, secondo gli investigatori, le conversazioni captate tra Caracciolo e Raffaele Raco, nel corso delle quali emerge che il primo stava effettuando un trasporto di droga in Sicilia, tenendo costantemente aggiornato Raco, per poi raggiungerlo a Gioia Tauro una volta rientrato da Catania. Tra i due le conversazioni sono criptiche, Caracciolo – viene ricostruito nelle carte dell’inchiesta – informa Raco di dover portare «le olive al frantoio» e che le stesse le avrebbero caricate sul «trattore».
E’ evidente – scrive il gip – il linguaggio in codice utilizzato dagli indagati, i cui riferimenti ad un carico di olive e ad un frantoio erano evidentemente «volti a celare il reale oggetto del trasporto», al fine di evitare che una eventuale attività di ascolto da parte delle forze dell’ordine avesse potuto ricondurre la trasferta a una attività illecita. «Che i due indagati – scrive ancora il gip – intendessero parlare di sostanza stupefacente è circostanza che si desume da una serie di elementi». L’attività tecnica sul cellulare di Caracciolo ha consentito di collocarlo, in quel determinato giorno, proprio a Catania. Una volta rientrato in Calabria, l’uomo si era recato a Gioia Tauro e in serata era rientrato a casa a San Roberto, per poi contattare Raco per informarlo di essere rientrato dal “frantoio”, di aver raccolto tutta “la partita di olive” e di aver scaricato tutte le cassette: «Abbiamo scaricato tutte le cassette, le cose».
Il Corriere della Calabria è anche su WhatsApp. Basta cliccare qui per iscriverti al canale ed essere sempre aggiornato