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l’estate rovente

‘Ndrangheta, la “regola d’onore” dei Marando: 50mila euro per chiudere la guerra a San Basilio

Dopo il tradimento dei “Moschettieri” e il contributo negato ai carcerati, la potente famiglia calabrese cerca di chiudere i conti

Pubblicato il: 07/08/2025 – 6:43
di Giorgio Curcio
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‘Ndrangheta, la “regola d’onore” dei Marando: 50mila euro per chiudere la guerra a San Basilio

ROMA I “Moschettieri” dovevano essere umiliati. Era questo il diktat dei Marando, potentissima famiglia di ‘ndrangheta – con solide basi in Calabria – in pieno controllo di San Basilio, periferia romana nota per essere una delle piazze di spaccio tra le più proficue e frequentate della Capitale.
Come abbiamo visto in questo articolo, i “Moschettieri”, due soggetti non indagati in questa inchiesta, attivi nello spaccio di droga e alleati dei Marando, si erano allontanati dalla famiglia calabrese dopo l’arresto di Alfredo e Francesco, di fatto quasi azzerando i rifornimenti di droga. Uno sgarro inaccettabile, soprattutto per il “capo” Rosario Marando.

Il tradimento nelle difficoltà

L’ultima inchiesta della Distrettuale antimafia di Roma ha ricostruito una vicenda risalente all’estate del 2020 e trascinatasi per i mesi a seguire. C’è, ad esempio, una ulteriore conversazione tra Francesco Marando e “Tiz” in cui proprio il rampollo calabrese spiega che il risentimento del padre Rosario nei confronti dei due “Moschettieri” era dovuto al fatto che, in un momento di difficoltà, «si era rivolto a loro per essere aiutato, ricevendo un inaspettato diniego che lo aveva “costretto” a rivolgersi ad altri soggetti che, però, non godevano di analoga considerazione», riporta il gip nell’ordinanza. È l’1 dicembre 2020 e i fatti diventano più chiari man mano che Francesco Marando scriveva in chat.



Il contributo negato

Secondo quanto emerso, dunque, Rosario Marando avrebbe avanzato una richiesta importante ai due “Moschettieri”: un contributo mensile funzionale a garantire il sostentamento dei figli detenuti. Un “contributo” però che si sarebbe dovuto monetizzare non nella mera dazione di denaro bensì nell’acquisto di sostanza stupefacente, anche venendo in contro ai due praticando una riduzione dei costi della vendita di droga. «Mio padre ce metteva i 3punti sopra – massimo 4 – però ve la lasciava come ve pareva, calcola che aiutava a tutti i carcerati mio padre…» scrive Francesco Marando, lasciando intendere che il padre Rosario era stato costretto a praticare «un prezzo differente» rispetto ad un altro fornitore «soprattutto, perché gli introiti sarebbero stati destinati al mantenimento dei detenuti». E lo spiega ancora meglio nel messaggio successivo: «Calcola che aiutava a tutti i carcerati mio padre (…) semo na cifra, campano a tutti, mandavamo la mesata a tutti i carcerati…».  

I criptofonini riconsegnati

Ritornando così alle vicende agostane, i motivi di contrasto tra i Marando e i due “Moschettieri” non si sarebbero appianate nel periodo successivo e così il socio albanese Sagajeva – su ordine di Rosario Marando – si sarebbe recato dai due ordinando loro di riconsegnare i cellulari criptati. Come ricostruito dagli inquirenti, ne sarebbe così nata un’accesa discussione, rifiutando di obbedire e contestando l’autorità di Sagajeva, pretendendo di parlare con Rosario. «(…) tu fai come te pare e io non lo posso fa’ (…) ao, stai a parla’ a uno che si è fatto la galera, la galera vera!», protesta uno dei due “Moschettieri” ma alla fine, per come è emerso, si sarebbe compreso che la riconsegna dei cellulari è comunque avvenuta. Marando spiegava ancora al socio che si trattava di un’azione necessaria per ridimensionarne il ruolo e ricondurli al loro status di subalterni.

San Basilio col fiato sospeso

Un tentativo per calmare le acque e appianare le divergenze lo farà, poi, un altro protagonista. Si tratta di Diego Felli – non indagato in questa inchiesta – ma considerato dagli inquirenti un «personaggio di spessore criminale, gestore della piazza di spaccio della “Coltellata”», chiamato dai due “Moschettieri” perché percepito dai Marando come un interlocutore di livello superiore rispetto ai due giovani. «Parliamo di Mav e Tiz» scrive in chat Felli all’albanese Sagajeva. Un primo approccio per affrontare la vicenda che teneva San Basilio col fiato sospeso. Come ricostruito ancora, Felli avrebbe continuato a prestare la propria opera di mediazione nei giorni successivi. Ad esempio, il 16 settembre scrive ad Arjan Sagajeva, spiegando di essere di rientro da Terni, organizzando così un incontro, i cui contenuti – seppure in modo frammentato – sarebbero emersi dalla lettura dei successivi messaggi criptati. Felli, in sostanza, «aveva ottemperato agli accordi raggiunti con l’albanese e Marando, atteso che l’indomani terze persone avrebbero consegnato loro 50mila euro». Soldi evidentemente correlati alla controversia coi “Moschettieri”, un incontro, a detta proprio di Felli, con «i due scemi». (g.curcio@corrierecal.it)

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