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l’inchiesta

Spaccio tra Reggio Calabria e Catania, per gli indagati l’incubo dei controlli agli imbarchi: «C’erano i cani»

La droga destinata a esponenti del clan Santapaola, l’attenzione alle unità cinofile e le “emoticon” per valutare la qualità. «Se mi mandi A, è bene, se mi mandi B, no!»

Pubblicato il: 18/08/2025 – 18:32
di Mariateresa Ripolo
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Spaccio tra Reggio Calabria e Catania, per gli indagati l’incubo dei controlli agli imbarchi: «C’erano i cani»

REGGIO CALABRIA Il timore di essere scoperti dai cani delle unità cinofile agli imbarchi dei traghetti per attraversare lo Stretto di Messina. Una preoccupazione che traspare dalle conversazioni che vedono protagonisti gli indagati dell’inchiesta “Oikos” della Dda di Reggio Calabria che ha fatto luce su una capillare attività di spaccio di cocaina, crack, hashish, marijuana (nelle conversazioni si fa anche riferimento al fentanyl), realizzata attraverso una fitta rete di clienti abituali e fornitori. Una organizzazione diretta dalla provincia reggina, da San Roberto, con proiezioni anche in Sicilia. Al vertice, secondo le indagini, c’era Antonio Caracciolo, per l’accusa, con il ruolo di «promotore, dirigente, organizzatore e finanziatore dell’associazione». Due i gruppi in affari: uno costituito dal nucleo calabrese guidato da Caracciolo, l’altro siciliano e in particolare catanese che faceva riferimento al primo per garantirsi la fornitura. Ma «un’unica e unitaria associazione a delinquere», «attesa la riscontrata solidità dei rapporti tra i due gruppi, la condivisione di risorse materiali» e «l’affidamento reciprocamente riposto da ciascuno dei due gruppi». Sarebbe stato proprio Caracciolo – secondo gli investigatori – a decidere modalità e prezzi; a curare «i rapporti tra i sodali siciliani e quelli calabresi, organizzando i trasporti dì stupefacente e le relative transazioni dalla Calabria alla Sicilia, nonché le trasferte dei siciliani in Calabria per le varie riunioni organizzative e per le contrattazioni relative alla sostanza stupefacente».

Il trasporto, la paura dei controlli e le emoticon per il responso sulla valutazione della qualità

Il trasporto della droga da una parte all’altra dello Stretto era ben organizzato, e secondo quando emerge dalle conversazioni, l’attenzione era altissima. In una conversazione datata dicembre 2021 uno dei soggetti siciliani presente a un incontro a Catania chiedeva di poter avere cinque grammi di sostanza per verificarne la qualità e poi procedere in un’unica soluzione all’acquisto di un consistente quantitativo («picciotti, per non fare avanti e dietro, a me ne serve cinque grammi di questa cosa, me la porto, la visualizzo e gli dico»). Il rischio di “traghettare” la sostanza era alto. E in particolare Raco Raffaele precisava che la metà dal quantitativo di stupefacente l’avrebbe acquistata il suo interlocutore, mentre la restante l’avrebbero lasciata in conto vendita ai catanesi, per evitare trasferte ad alto rischio per via dei controlli anche perché all’imbarco dei traghetti c’erano cani antidroga («appena che sono arrivato qua lo sai che c’era là? c’erano i cani, c’erano i cani lì all’uscita della Caronte, non hai visto che c’erano i cani là fuori»). Conversazioni – scrive il gip – in cui si comprende anche che Io stupefacente era destinato ad alcuni appartenenti al clan Santapaola di Catania. E nell’attesa di ricevere il responso sulla qualità della sostanza, Caracciolo si mostrava disponibile a rifornire i catanesi anche di cocaina, precisando che, in quel periodo, vendeva la cocaina al prezzo di 37 euro al grammo, incluso il trasporto. Chiari anche gli accordi per la valutazione della sostanza stupefacente provata, una “emoticon” e cioè un simbolo, ma di utilizzare la lettera “A” in caso positivo e “B” in caso negativo, al fine di mettersi al riparo da eventuali attività investigative (“C: se mi mandi A, è bene, se mi mandi B, no!”).

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