L’arresto e l’esilio in Calabria che segnarono vita e opera di Cesare Pavese
Nel 1935, a soli 27 anni, l’esilio a Brancaleone. 75 anni fa la morte dell’autore di capolavori come “Il Mestiere di vivere” e “La luna e i falò”

Nel 1935, a soli 27 anni, fu confinato a Brancaleone, un borgo della provincia reggina, a seguito della sua attività antifascista. Cesare Pavese (1908-1950), figura cardine della letteratura italiana vide così la sua vita e la sua opera segnate in modo indelebile dal passaggio in Calabria. Per Pavese, abituato alla vita torinese, l’impatto fu traumatico. Fu proprio in questo isolamento, lontano da tutto ciò che conosceva, che iniziò a tenere un diario, destinato a diventare la sua opera più celebre: “Il Mestiere di vivere”, non era solo una cronaca della sua vita quotidiana, ma un’analisi lucida del proprio animo. Il diario venne iniziato da Pavese nell’ottobre del 1935 nel piccolo borgo reggino, dove era stato mandato nell’agosto di quell’anno dopo condanna del tribunale fascista, e dove rimase fino al 1936.
Un’esperienza breve ma decisiva. Questo periodo di riflessione diede il via a una produzione letteraria che avrebbe segnato la storia della letteratura italiana, culminando in capolavori come “La luna e i falò” e “La bella estate”. L’esilio in Calabria fu un vero e proprio crocevia esistenziale e artistico, dando vita a un’opera che ancora oggi parla della solitudine, del dolore e della ricerca di un senso, temi che da Brancaleone lo avrebbero accompagnato fino alla tragica fine. Il 27 agosto del 1950, Pavese prese una stanza all’hotel Roma di Torino e pose fine alla sua vita assumendo dieci bustine di barbiturici. Poco prima aveva scritto e lasciato il un biglietto con su scritto: “Perdono tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? Non fate troppi pettegolezzi”. (redazione@corrierecal.it)
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