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L’ANALISI

La Calabria e lo spettro non voto, l’incognita astensione

Ne risulta così che l’agone politico appare ormai quasi un ambito nel quale si ritrovano coinvolti quasi esclusivamente i protagonisti di una contesa ridotta a pochi circoli di eletti

Pubblicato il: 02/09/2025 – 6:42
di Clemente Angotti
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La Calabria e lo spettro non voto, l’incognita astensione

Uno spettro, verrebbe da dire, si aggira in lungo e in largo per la Calabria che si avvicina a grandi passi al voto anticipato del 5 e 6 ottobre prossimi, ed è l’astensionismo. Un fenomeno non nuovo e, anzi, diffuso e radicato che, da tempo, agisce corrodendo le fondamenta stesse della partecipazione democratica: basti pensare che in occasione delle elezioni politiche del 2022 dal Pollino allo Stretto votò poco più del 50%, a fronte del 63% e oltre della tornata precedente. Un elemento da non sottovalutare, quello del non voto, ben lungi dall’essere ridotto a normale fattore fisiologico e che perdipiù diventa regolarmente argomento di dibattito acceso nelle ore immediatamente successive allo spoglio salvo poi essere tranquillamente metabolizzato. L’astensionismo, come è facile constatare, è letteralmente dilagato negli ultimi anni: nelle più recenti tornate regionali, i calabresi che hanno esercitato regolarmente il loro diritto al voto sono stati rispettivamente il 44,4% nel 2020, all’epoca dell’elezione di Jole Santelli, e del 44,3 in occasione dell’ingresso alla Cittadella di Catanzaro del governatore uscente, oggi ricandidato, Roberto Occhiuto.
Quello del progressivo calo dei votanti (meno di un calabrese su due si espresse nelle due circostanze appena menzionate), rimane un dato preoccupante e che non lascia presagire nulla di buono per una regione che, mancando da sempre di alternative socio economiche, sulla politica ha fatto da sempre molto affidamento. In ogni caso è evidente che non ci si può certo rassegnare dinanzi a questa emergenza democratica, un male ormai cronicizzato di cui in verità non sono immuni altre realtà del Paese che in Calabria, però, presenta una sua specificità negativa che si aggiunge alle molte altre che attanagliano la regione. Ad ogni modo la disaffezione al voto – o più propriamente la sfiducia che ne rappresenta il brodo di coltura – non solo dimostra in modo plastico l’allontanamento dalla politica da parte di migliaia di cittadini di varia estrazione (eccezion fatta per quelle figure ‘professionali e non’ in qualche modo legate alle sorti stesse dei gruppi di potere in questione) ma ha anche un che di paradossale se si tiene conto che tale rifiuto si esplicita nei confronti di quella stessa politica, ora ripudiata e offesa, che, solo una manciata di decenni fa, scaldava il cuore di miriadi di militanti e riempiva, anche in forma inversamente proporzionale, urne e piazze. A prevalere ora, stante questo andazzo, è invece una componente, quella dei ‘politici di professione’, che rischia di accentuare, per senso di autodifesa e di autoconservazione, il proprio carattere sempre più autoreferenziale e di casta. Ne risulta così che l’agone politico appare ormai quasi un ambito nel quale si ritrovano coinvolti quasi esclusivamente i protagonisti di una contesa ridotta a pochi circoli di eletti i quali, paradossalmente, a seconda delle parti in causa finiscono per tutelarsi (e legittimarsi) a vicenda.
Un vuoto pneumatico, l’astensionismo, cui fa da triste se non tragicomico contraltare, anche in Calabria, l’emergere di un drappello di figli o congiunti di…, unita all’assenza o all’irrilevanza di ricambio con l’innesto di forze fresche all’interno delle formazioni politiche attualmente in campo. Giovani, e talvolta anche giovanissimi semisconosciuti, che portano però nomi di peso e che, al netto del diritto di chiunque a porre in essere la propria candidatura, rappresentano plasticamente il prevalere di atteggiamenti e modi di fare che fanno strame di quella che era una volta la ‘gavetta’ o la militanza formativa di partito, per fare posto a una sorta di inopinato diritto dinastico. (redazione@corrierecal.it)

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