L’omicidio di Filippo Verterame, lo sfogo della madre: «Non basta lavarsi la coscienza»
Angela Giaquinta in un lungo post sui social: «La coscienza si lava, si pulisce perché macchiata di soprusi, angherie e sangue»

CROTONE «Devo lavarmi la coscienza, voglio parlare con il magistrato». Giuseppe Paparo, il 39enne di Isola Capo Rizzuto indagato per l’omicidio del 22enne Filippo Verterame avvenuto lo scorso 19 agosto al culmine di una lite a Le Cannella, nel comune di Isola Capo Rizzuto ha ammesso le proprie responsabilità e fatto trovare l’arma del delitto. In un colloquio con il pm Pasquale Festa, il giovane ha raccontato quello che è avvenuto sul piazzale nei pressi di un lido e ha indicato ai carabinieri dove si trovava il coltello con il quale ha ferito Alessandro Bianco, Giuseppe Verterame e la giovane vittima. Sui social, Angela Giaquinta madre di Filippo Verterame ha pubblicato un post nel quale ritiene non sufficiente quanto fatto dal presunto assassino di suo figlio.
Il lungo post
«Ho atteso di leggere le sue dichiarazioni e meglio contestualizzare la frase, prima di commentare quella che è stata l’ennesima coltellata: Giuseppe Paparo vuole ‘lavarsi la coscienza’. Per giorni ho cercato di capire il senso di questa espressione, che ha dilagato sui social e nei canali di comunicazione locali e regionali. La “coscienza” si lava, si pulisce perché macchiata di soprusi, angherie e sangue. La “coscienza” si lava per poter fare pace con sé stessi, ammettendo le proprie colpe e chiedendo perdono per il male arrecato. Ma nelle parole di chi voleva lavare la sua coscienza non trapela niente di tutto ciò.
È sconcertante e inaccettabile che un ‘uomo” di 39 anni si limiti a “lavarsi la coscienza”, indicando il luogo dove, con estrema lucidità, aveva nascosto l’arma del feroce omicidio che le forze dell’ordine stavano cercando e di certo avrebbero trovato, senza mostrare pentimento, senza assumersi responsabilità, senza chiedere perdono. Nessuna ammissione di colpa. Nessun accenno di dolore o sofferenza per aver volontariamente causato la morte di un ragazzo di appena 22 anni. Nessun senso di colpa da parte sua e di NESSUNO dei suoi familiari. Un atteggiamento riprovevole, che dimostra una totale mancanza di rispetto per la vita umana, per la memoria di Filippo e per il dolore di tutti i suoi cari. Restituire l’arma, senza dichiarare veramente COME e PERCHÉ sia stata utilizzata, non può né deve cancellare la gravità di ciò che si è commesso. Anzi, evidenzia un’indifferenza inquietante, una malvagità che cozza con il significato etimologico di “conscientia”», sostiene la donna.
«La giustizia deve essere rigorosa contro chi cerca di scrollarsi di dosso le proprie responsabilità, con scuse vuote e improbabili, solo per ottenere sconti di pena. La vita è un valore sacro, non una merce negoziabile, né un dono privo di significato. Il movente non può essere considerato un dettaglio futile e isolato: si tratta SOLO di un odio radicato nel tempo, 3 anni, maturato contro un ragazzo e un’associazione che non si sono arresi alla prepotenza di una intera famiglia. Il delitto si collega alla crescente ostilità verso le attività del Lido, gestito con il supporto del Comune di Isola di Capo Rizzuto, apprezzato per il suo carattere inclusivo. Questa FAMIGLIA, invece, cercava di ridurlo al silenzio, infastidendo chi si opponeva all’ombra dell’illegalità. Non ci si può nascondere dietro il gesto di restituire un’arma come scusa per svincolarsi dalle proprie responsabilità. Questo atteggiamento non può ridimensionare la gravità di un crimine così terribile. È fondamentale che tutta la società condanni ogni forma di violenza, senza tollerare complicità o scuse di alcun genere. A chi si arrampica sugli specchi e continua a ostentare supposizioni fantasiose e giustificazioni arrangiate e senza senso, lontani dal chiedere anche loro perdono, ricordo che sono le dichiarazioni dell’assassino, prive di coscienza e di buon senso, a parlare più di qualsiasi millantazione. In tanti siete venuti a casa in questi giorni a raccontarmi le minacce e le angherie subite da questa famiglia da più generazioni: vi invito e vi PREGO di denunciare quanto subito alle autorità competenti. E ancora, chi era presente quel giorno su quel piazzale e ha assistito DEVE TESTIMONIARE QUANTO VISTO. Fate questo per Filippo, ma soprattutto per i vostri figli e i vostri nipoti».
«Ricordate – conclude Angela Giaquinta – anche se chi ha commesso il reato resterà in carcere, e mi aguro per il resto dei suoi giorni, fuori c’è chi crede ancora che quel tratto di territorio sia proprietà legittima di una famiglia. Questa convinzione atavica, purtroppo, continuerà ripetersi nel tempo, a perseverare nell’abusivismo e nell’illegalità. Ad ostacolare il turismo e la promozione di questa terra che Filippo tanto amava. Voglio che la memoria di Filippo resti viva, che il suo esempio ci sproni a lottare contro ogni forma di violenza e odio. La violenza non deve vincere. La giustizia è l’unica strada per ritrovare un po’ di pace. A Filippo dedico il mio amore infinito e la mia determinazione a non smettere mai di chiedere verità e giustizia, come madre e, ancor più, come presidente dell’associazione Asylos, che continuerà SEMPRE a portare avanti il progetto del LIDO INCLUSIVO ON THE BEACH, certa del sostegno delle Istituzioni, e a combattere ogni forma di abuso e illegalità, a Le Cannella e non solo».
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