«Stabilizzare subito i precari della giustizia. Senza di loro efficienza degli uffici a rischio»
Il segretario della Cgil Area Vasta Scalese e la dem Bruni sul sit-in di oggi a Catanzaro

CATANZARO «Non possiamo restare indifferenti davanti alla protesta di migliaia di lavoratrici e lavoratori della giustizia. Oggi scendono in piazza non solo per difendere il proprio futuro, ma per difendere un principio che riguarda tutti: il diritto dei cittadini ad avere una giustizia che funzioni». Lo dichiara Enzo Scalese, segretario generale della Cgil Area Vasta Catanzaro-Crotone-Vibo. Negli ultimi tre anni, grazie al reclutamento finanziato dal PNRR, circa 12mila addetti hanno garantito un supporto fondamentale al funzionamento degli uffici giudiziari, contribuendo ad abbattere l’arretrato e a rendere più rapida la risposta di giustizia per i cittadini. «Parliamo di personale che ha lavorato nei tribunali, nelle corti d’appello e negli uffici del Ministero – sottolinea Scalese – e che dal 30 giugno 2026 rischia di vedere scadere i propri contratti senza alcuna prospettiva di stabilizzazione. Sarebbe un danno enorme non solo per chi ha prestato servizio con competenza e dedizione, ma per l’intero sistema giudiziario». Secondo la Cgil, infatti, la carenza di organico resta una delle maggiori criticità del settore: «In un comparto in cui già oggi il numero di dipendenti è insufficiente – aggiunge Scalese – è impensabile rinunciare a chi ha dimostrato sul campo di essere indispensabile. La giustizia ha bisogno di continuità, di investimenti in capitale umano, non di ulteriori tagli». La richiesta è chiara: avviare subito percorsi di stabilizzazione e garantire strumenti strutturali che consentano di non disperdere il lavoro svolto finora. «Se vogliamo una giustizia celere ed efficace – conclude Scalese – occorre dare certezze a queste lavoratrici e lavoratori, riconoscendo il loro ruolo e il loro apporto concreto al miglioramento del sistema».
L’intervento di Amalia Bruni
«Oggi in tutta Italia, e con una particolare determinazione davanti alle prefetture delle nostre province, le lavoratrici e i lavoratori precari della giustizia sono in piazza per difendere il proprio futuro e a loro va tutta la mia vicinanza e solidarietà. Non posso che condividere e rilanciare la loro rabbia e la loro preoccupazione di persone che hanno dato il proprio prezioso contributo al funzionamento del sistema giustizia e rischiano di essere messi da parte senza alcuna considerazione umana e professionale». È quanto afferma Amalia Bruni, consigliera regionale e candidata al rinnovo del Consiglio regionale nelle elezioni del 5 e 6 ottobre per l’Area Centro, sottolineando l’importanza del ruolo svolto da oltre 12mila persone che, in questi anni, hanno garantito il funzionamento dei tribunali, delle corti d’appello e degli uffici del Ministero della Giustizia. «Parliamo – aggiunge Bruni – di donne e uomini che hanno reso più efficiente un settore già gravato da una cronica carenza di organico. Non possiamo permettere che dal giugno 2026 tutto questo venga cancellato insieme ai loro posti di lavoro. La giustizia non ha bisogno di precarietà, ma di stabilità, risorse e personale». La consigliera evidenzia come il lavoro dei tirocinanti della giustizia non possa essere considerato precario, perché «è indispensabile». «Il loro contributo – spiega – ha consentito agli uffici giudiziari di gestire meglio il carico di lavoro, migliorando concretamente l’efficienza del sistema giustizia. Allo stesso tempo, per loro, si tratta di un percorso formativo di grande valore, che permette di acquisire esperienza diretta e conoscenze fondamentali: dall’affiancamento ai magistrati, allo studio dei fascicoli, fino alla partecipazione alle udienze. Un bagaglio che rappresenta un arricchimento sia per la loro futura carriera legale sia per l’accesso ai concorsi pubblici». «Per tutte queste ragioni – conclude Bruni – questi lavoratori e queste lavoratrici vanno valorizzati, non certo liquidati. Il loro futuro deve coincidere con un rafforzamento del sistema giustizia e non con l’ennesima pagina di precarietà che il nostro Paese non può più permettersi».
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