Skip to main content

Ultimo aggiornamento alle 23:51
Corriere della Calabria - Home

I nostri canali


Si legge in: 5 minuti
Cambia colore:
 

mala cosentina

Processo “Recovery”, il pranzo a Scilla e i rifornimenti di droga sull’asse Cosenza-Reggio Calabria

In Corte d’Assise a Cosenza una nuova udienza del procedimento scaturito da una inchiesta “costola” della maxi operazione “Reset”

Pubblicato il: 19/09/2025 – 16:38
00:00
00:00
Ascolta la versione audio dell'articolo
Processo “Recovery”, il pranzo a Scilla e i rifornimenti di droga sull’asse Cosenza-Reggio Calabria

COSENZA Associazione di tipo ‘ndranghetistico, associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, aggravato dalle modalità e finalità mafiose e numerosi delitti aggravati dalle modalità e finalità mafiose. Sono i reati contestati, a vario titolo, agli indagati nell’inchiesta denominata “Recovery”, una costola della maxi operazione “Reset” che secondo la Dda di Catanzaro confermerebbe l’esistenza di una confederazione di ‘ndrangheta. Questa mattina, in Corte d’Assise a Cosenza (presidente Paola Lucente) è ripreso il processo ordinario. L’accusa in aula è stata sostenuta dal pm della Distrettuale Antimafia di Catanzaro, Corrado Cubellotti.

Gli albori dell’inchiesta

Antonio Donato, sostituto commissario in quiescenza, all’epoca dell’inchiesta in servizio alla squadra mobile Cosenza ha ricostruito, in aula, l’attività di indagine svolta. L’attenzione si è focalizzata sul legame tra i cinque gruppi criminali, con a capo rispettivamente «Michele Di Puppo, Antonio Illuminato, Salvatore Ariello, Adolfo D’Ambrosio e Roberto Porcaro», tutti dotati di «autonomia» ma «legati da rapporti» intrattenuti per compiere affari illeciti. «Nel corso dell’inchiesta “Reset” erano emerse circostanze sull’esistenza di una associazione a delinquere. L‘indagine prendo spunto da questi rapporti tra gruppi criminali e intende dimostrare l’esistenza dell’associazione dedita allo spaccio». L’esito del lavoro svolto dagli investigatori è supportato – precisa il teste – da «riscontri tali da permettere di ipotizzare l’esistenza di una vasta associazione caratterizzata dai tipici caratteri dello spaccio di stupefacenti». Il commissario cristallizza il carattere della presunta organizzazione, sottolineando la presenza di regole interne – identiche a quelle emerse nell’inchiesta “Reset” – che non prevedevano, ad esempio, il ricorso alla pratica del “sottobanco”: la vendita di droga senza il necessario assenso del “Sistema” sorretto dalla sinergia tra i cinque gruppi criminali. Nessuno poteva permettersi di vendere un solo grammo di sostanza stupefacente senza il disco verde dei capi, le eventuali ripercussioni abbiamo avuto modo di apprenderle in passato: punizioni severe e allontanamento dal circuito criminale.

Il collegamento tra i gruppi

Nel corso della lunga testimonianza resa in Corte d’Assise, Donato si sofferma spesso sulla sinergia avviata dai gruppi gravitanti nell’orbita criminale cosentina. Un dato che troverebbe riscontro dalla presenza «verificata tramite intercettazioni» di pusher gravitanti da un gruppo all’altro. Questa fluidità dei rapporti rappresenterebbe – per l’accusa – un chiaro elemento di collaborazione tra clan. Nel corso dell’indagine è emerso più volte come la droga sia al centro delle conversazioni tra esponenti di vertice dei rispettivi gruppi, ma anche di esponenti di altri clan della provincia e di altre cosche calabresi. Il riferimento del testimone, ad esempio, è a Giuseppe Calabria ritenuto dalla Dda a capo dell’omonimo clan operante sul tirreno cosentino tra i comuni di Paola e San Lucido. Un altro riferimento costante, nel racconto fornito in aula, è a Giuseppe Violi «emissario della cosca Alvaro – Violi – Macrì di Sinopoli in provincia di Reggio Calabria.

Gli affari sull’asse Cosenza-Reggio Calabria

La droga a Cosenza e nell’hinterland fatica a circolare, i rifornimenti del “Sistema” paiono incepparsi e i pusher pur di rispondere alla domanda degli assuntori tentano di percorrere strade alternative, privilegiando canali lontani dal territorio bruzio. Chi indaga intercetta una conversazione che apre, di fatto, ad un approfondimento di un rapporto ritenuto importante nel solco delle indagini avviate. E’ quello che legherebbe Giuseppe Violi e Michele Rende descritto dal teste Donato come «un soggetto inserito nel gruppo di Antonio Illuminato». «Uno spacciatore di un certo spessore», precisa il testimone in aula che intrattiene «rapporti con Violi» per avere un «canale privilegiato di approvvigionamento di hashish». I due – come emerso – avrebbero trattato la cessione di «200 grammi di hashish». Michele Rende avrebbe scalato diverse posizioni nella scala gerarchica criminale, lo rivelo lui stesso ad un assuntore quando confida – vista la difficoltà nel reperire droghe “leggere” – l’intenzione di occuparsi della vendita dell’hashish, riportando il «fumo» in città. C’è un altro episodio raccontato in aula da Donato e si riferisce alla consegna di «500 grammi di sostanza stupefacente a Michele Rende», si parla di una «pietra». Il pm Corrado Cubellotti e la presidente della Corte d’Assise Lucente chiedono delucidazioni in merito, il teste risponde che il termine si riferisce ad «hashish non suddivisa in dosi».

Il pranzo a Scilla

Il 10 maggio 2021, viene intercettato un altro incontro avvenuto in un ristorante di Scilla tra Rende e Violi. Gli investigatori captano una conversazione intercorsa tra i due ed un terzo uomo, «cugino di Violi», nel corso della quale «si fa riferimento a pregresse conoscenze e si evince il ruolo di Francesco Patitucci come capo. Michele Rende – riferisce sempre Donato – racconta a Violi che fino a quando Patitucci era libero non vedeva di buon occhio gli Zingari, ritenendo gli Italiani un’altra cosa». E’ sempre Michele Rende, secondo il teste, a rendere edotto i suoi interlocutori delle dinamiche stravolte nei clan «dopo l’arresto di Patitucci, con la reggenza assunta da Roberto Porcaro che invece con gli Zingari aveva buoni rapporti». I reggini, seduti al tavolo, dimostrano di essere a conoscenza della vicenda. Un segnale importante per l’accusa, che ritiene la circostanza utile a dimostrare i rapporti tra clan di diverse province. (f.benincasa@corrierecal.it)

Il Corriere della Calabria è anche su WhatsApp. Basta cliccare qui per iscriverti al canale ed essere sempre aggiornato  

Argomenti
Categorie collegate

x

x