Il sottofondo permanente e l’epica dei reel da campagna elettorale
Sulla proposta del premio Oscar Nicola Piovani

C’è una colonna sonora per ogni gesto affidato a un tutorial digitale: apri la porta, parte il pop svedese; tagli la zucchina, arriva Bach; stringi una mano in campagna elettorale, parte l’inno da supereroe. Viviamo immersi in un universo musicale che non abbiamo scelto, e che spesso nemmeno ascoltiamo: è il sottofondo permanente, quello che dilaga ovunque, dai centri commerciali ai reel su Instagram.
A sollevare il tema, con l’autorevolezza di chi con la musica ci ha vinto un Oscar, è stato Nicola Piovani. In un intervento pubblicato su la Repubblica, il compositore denuncia il dilagare dell’ascolto passivo: “Nei ristoranti si mangia con la musica da dentista”, scrive, “il silenzio è scomparso”. E propone, provocatoriamente, di mappare i locali “music-free”, dove tornare a conversare, pensare, o semplicemente respirare, senza dover sovrastare una playlist.
Ma il sottofondo musicale non è solo un fenomeno commerciale: è diventato linguaggio politico. Prendiamo la nostra Calabria, ma vale anche nel resto d’Italia, la campagna elettorale si combatte – o meglio, si suona – a colpi di reel. I due principali protagonisti, Pasquale Tridico e Roberto Occhiuto (ho avuto difficoltà a intercettare il profilo Instagram di Francesco Toscano, ma perché nessuno lo tagga quando si parla di lui?) si sfidano in un tour parallelo fatto di stories e video montati come trailer. Ho monitorato a caso e ho trovato per Tridico la colonna sonora di “Come u Sula”, brano potente, evocativo, radicato nel territorio. Occhiuto, invece, punta molto sull’epica visiva: camminate accelerate, strette di mano a ritmo incalzante, colonne sonore degne di un film Marvel. In un reel, ha persino scelto il can can di Offenbach. Chissà com’era la bella époque a Cosenza. Per conflitto di interessi evito di consultare “Cosenza nel Novecento” di Paride Leporace.
Il paradosso è che, in questo flusso costante di immagini e musica, spesso a mancare è proprio la voce. I reel sono muti, senza discorsi, senza frasi da ricordare. A parlare è solo la musica. Il risultato è un effetto da spot pubblicitario: un’estetica travolgente che però rischia di svuotare il contenuto.
E mentre la politica si affida al sound design, il cittadino medio si ritrova bombardato da note ovunque. Entrare in un ristorante, oggi, significa affrontare una battaglia sonora: tra il vociare di sala e il sottofondo imposto, parlare diventa un’impresa.
L’idea di Piovani di segnalare i luoghi liberi da musica non è poi così assurda. Potrebbe diventare una nuova forma di turismo culturale: cercare oasi di silenzio, rifugi sonori dove tornare a prestare attenzione al rumore delle posate, a una frase detta piano, a un pensiero che nasce. Arminio docet.
Nel frattempo, la politica si è arresa al montaggio, musica potente e una camminata al rallentatore. L’ideale sarebbe un candidato muto, ma con una playlist fortissima: Raffaella Carrà per i diritti civili, Wagner per le infrastrutture, Vasco Rossi per la sicurezza, Toto Cotugno per l’internazionalizzazione delle imprese. Che vinca chi ha più decibel. (redazione@corrierecal.it)
Il Corriere della Calabria è anche su WhatsApp. Basta cliccare qui per iscriverti al canale ed essere sempre aggiornato