Rosaria Mancuso «a conoscenza» dell’omicidio Vinci. Ma per la Cassazione «non è sufficiente» per condannarla
Depositate le motivazioni con cui la prima sezione penale lo scorso giugno ha disposto l’annullamento con rinvio. Per Vito Barbara confermato l’ergastolo

VIBO VALENTIA Sono state depositate le motivazioni della sentenza emessa dalla Corte di cassazione riguardo l’omicidio di Matteo Vinci, il biologo di Limbadi ucciso con un’autobomba in località Cervolaro. Nell’attentato rimase gravemente ferito anche il padre Francesco Vinci. Da allora la madre Sara Scarpulla e il marito hanno continuato a chiedere giustizia per l’omicidio del figlio. Una giustizia che sembrava essere arrivata con la sentenza della Corte d’appello che aveva condannato all’ergastolo Rosaria Mancuso e il genero Vito Barbara, accusati dell’omicidio del biologo 43enne avvenuto il 9 aprile 2018. Nella stessa sentenza erano stati condannati Domenico Di Grillo e Lucia Di Grillo, rispettivamente a 6 e 3 anni di reclusioni. I giudici avevano però escluso l’aggravante mafiosa ritenendo si trattasse di una «contesa di vicinato». Lo scorso giugno è arrivata la sentenza della Cassazione, che ha confermato le pene per Domenico e Lucia Di Grillo, l’ergastolo per Vito Barbara, ma ha annullato con rinvio quello di Rosaria Mancuso.
«Non si è mai mostrata sorpresa dell’accaduto»
Gli ermellini hanno rigettato in parte i motivi del ricorso, ovvero riguardo una «non corretta valutazione degli indizi». Secondo la prima sezione penale, i giudici d’appello hanno valutato «in modo logico» il quadro probatorio presentato dagli inquirenti senza «travisamenti delle varie conversazioni intercettate». Il riferimento è quelle in cui l’imputata appare – come scrivono i giudici – «timorosa che non solo il genero ma anche lei stessa possa essere individuata come responsabile attraverso le riprese delle telecamere». In un’altra conversazione il genero afferma «che sono entrambi fortunati ad essere ancora liberi», includendo anche lei in questa considerazione. In questo contesto, sottolineano gli ermellini, Rosaria Mancuso «non si è mai mostrata sorpresa dell’accaduto, né ha chiesto a sé stessa o ai suoi familiari chi potesse averlo compiuto e per quali ragioni».
I motivi dell’annullamento
Tuttavia i giudici condividono con la difesa la «non corretta valutazione» per quanto riguarda il concorso dell’imputata. Per la Cassazione tutti questi motivi e anche «l’adesione morale» non sarebbero sufficienti a dimostrarne il concorso, distinguendolo da quella che potrebbe essere una «mera connivenza non punibile». Gli ermellini evidenziano come i giudici d’appello, pur motivando «la sussistenza di una condivisione del proposito criminoso», non hanno valutato e motivato se il ruolo di Rosaria Mancuso si sia limitato ad «una adesione silente e passiva» o se sia sfociato in «un contributo, quanto meno morale, tale da rafforzare il proposito criminoso». Per questo i giudici della prima sezione penale hanno disposto l’annullamento con rinvio al fine di valutare e motivare se si tratta di «una forma di concorso nei reati a lei ascritti, e non di una mera connivenza non punibile». (ma.ru.)
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