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‘Ndrangheta e narcos, la droga dal Brasile e i legami con Torino: chiusa la prima parte dell’inchiesta – I NOMI

Tra latitanti catturati all’estero, donne al vertice e milioni di dollari riciclati, la nuova fase dell’operazione “Samba” porta allo scoperto un volto sempre più globale dell’organizzazione

Pubblicato il: 29/09/2025 – 14:34
di Giorgio Curcio
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‘Ndrangheta e narcos, la droga dal Brasile e i legami con Torino: chiusa la prima parte dell’inchiesta – I NOMI

TORINO La Procura di Torino ha notificato l’avviso di chiusura delle indagini preliminari nei confronti di alcuni dei primi soggetti coinvolti nell’inchiesta “Samba“, quella cioè condotta dalla Distrettuale antimafia di Torino e che alla fine dello scorso anno aveva portato all’arresto di 23 persone, 5 in Italia e 18 in Brasile, nell’ambito di una complessa indagine internazionale riguardante tre gruppi criminali, distinti tra di loro ma collegati, dediti al narcotraffico sulla rotta atlantica. Attualmente continuano, invece, le indagini per una quindicina di indagati.

I nomi

E tra gli indagati nell’inchiesta – coordinata dai sostituti procuratore Francesco Pelosi e Livia Locci – ci sono nomi di peso assoluto nel panorama criminale e, soprattutto, della ‘ndrangheta presente da tempo in Piemonte e nel territorio del Canavese. Ci sono l’ex broker del narcotraffico e ora collaboratore di giustizia Vincenzo Pasquino (cl. ’91) ma anche Pasquale Michael Assisi (cl. ’87) e Nicola Assisi (cl. ’58). E ancora Jessica Vailatti (cl. ’90), compagna di Pasquale Michael Assisi, e poi Rosalia Falletta (cl. ’65) e Rita Siria Assisi (cl. ’98) moglie di Nicola Assisi. Chiuse le indagini poi per: Christian Sambati (cl. ’96); Nicola De Carne (cl. ’95); Enrico Castagnotto (cl. ’74); Giovanni Pipicella (cl. ’77); Francesco Barbaro (cl. ’89).

L’inchiesta “Samba”

Il lavoro, sviluppatosi in cooperazione con le autorità brasiliane sin dal 2019 e che ha portato, all’epoca, agli arresti di Nicola e Patrick Assisi, avrebbe consentito di individuare importanti connessioni tra gli ambiti della ‘ndrangheta italiana e le organizzazioni criminali fornitrici di sostanze stupefacenti operanti nel Paese sudamericano, in grado di muovere grossi quantitativi di droga, in particolare cocaina, verso l’Europa tramite i porti del Paranà. L’indagine italiana, in particolare, aveva permesso di risalire a una grande struttura criminale transnazionale – della quale fanno parte anche le 5 persone finite in arresto, vicine alle locali di ‘ndrangheta del Piemonte – che organizzava il narcotraffico sulla rotta Brasile-Italia, nascondendo la droga su navi container dirette verso porti italiani e del nord-Europa, per diverse tonnellate di cocaina. Il gruppo utilizzava l’assetto logistico messo a disposizione dalla criminalità brasiliana a Paranà anche per muovere grossi quantitativi di denaro, poi riciclato.

La collaborazione con il PCC

L’indagine torinese ha, inoltre, documentato come il gruppo criminale di Torino, per tramite dell’ex latitante Vincenzo Pasquino – arrestato a Joao Pessoa il 24 maggio 2021 – aveva nello stato del Paraiba solidi legami con una struttura criminale del luogo. «Prima dell’operazione “Cerbero”, quindi nell’estate 2019, ci siamo incontrati più volte a San Paolo con i gruppi del PCC, con esponenti delle varie famiglie che chiedevano di lavorare con loro. Ero io che mantenevo i contatti con il PCC». È il narcobroker Vincenzo Pasquino, torinese classe ’90, legato a doppio filo con la ‘ndrangheta calabrese, a parlare alle autorità giudiziarie brasiliane prima dell’estradizione in Italia e l’inizio della collaborazione con la giustizia. Dichiarazioni allegate agli atti dell’inchiesta “Samba” della Distrettuale antimafia di Torino. Pasquino aveva parlato poi di una riunione, al termine della quale sarebbe stato stabilito di iniziare una collaborazione alla pari tra il PCC e il gruppo di San Luca, «per cui ognuno finanziava al 50% la partita di cocaina da importare in Italia», ha spiegato Pasquino il cui compito «era quello di garantire il passaggio dei soldi». Quindi «il 50% della cocaina del PCC che arrivava a Gioia Tauro veniva venduta dal gruppo di San Luca, per lo più al nord Italia e in Sicilia, e da noi di Torino. Il PCC vendeva a noi la cocaina a 5.000/5.500 euro al kg, che divenivano 7.500/7.000 euro al kg con il prezzo della “salita”». Come spiegato da Pasquino, dunque, la parte del PCC da vendere in Italia «aveva il prezzo pattuito minimo compreso tra 23.000 e 25.000 euro».

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