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il ricordo

Santi Trimboli principe del giornalismo calabrese, sempre debole politicamente per ottenere i giusti riconoscimenti

La gavetta, la Rai. Netto e autentico, alla bravura aggiunse la sensibilità. Un “hombre vertical”

Pubblicato il: 02/10/2025 – 7:12
di Paride Leporace
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Santi Trimboli principe del giornalismo calabrese, sempre debole politicamente per ottenere i giusti riconoscimenti

Nella chiesa di Santa Teresa a Cosenza dove il suo collega e amico Vincenzo D’Atri era stato padrino di cresima un mese prima di sposare la sua amatissima Annamaria una folla commossa ha salutato l’amara dipartita di Santi Trimboli, penna di valore del giornalismo calabrese e “hombre vertical”.
Alla fine della funzione il ricordo laico di Tonino Raffa e Lello Malito arrivati da Reggio Calabria per omaggiare il cronista compagno di mille avventure e le parole del caporedattore Rai, Riccardo Giacoia a connettere i ricordi familiari di papà Emanuele e del fratello gemello Valerio. Tanti i giornalisti presenti, tra cui Pantaleone Sergi, una fratellanza nata tra le brume di Piano Lago al Giornale di Calabria di Piero Ardenti e fino alle ultime ore vicino a Santi nella sua battaglia più dura, quella della malattia.
In questi ultimi mesi Santi lo chiamava “l’ospite indesiderato” connettendosi alla definizione di Gianluca Vialli e riproponendone lo stesso spirito combattivo nell’affrontare il tumore.
Una sorta di Clint Eastwood del giornalismo calabrese Santino. Con l’eleganza e lo stile inconfondibile, gli occhiali ad aumentarne il fascino, la voce suadente nei servizi televisivi, puntiglioso e rigoroso nel mestiere, memoria certosina poggiata su un archivio in ordine di ogni articolo e servizio che avesse scritto in una carriera luminosa dove non sono mancate le amarezze.
In queste ore non mancano i ricordi dei giovani allevati con i fogli degli articoli strappati quando erano usciti male e poi la bonomia successiva a chiudere la sfuriata. Non l’aveva persa mai quella nettezza sulla verità Santi. Ho avuto un dialogo intenso con lui fino all’ultimo sul nostro mestiere sul mondo attuale. L’ho sempre rispettato Santi Trimboli per la cifra personale di non edulcorare mai i rapporti con quel finto “volemose bene” che caratterizza molti giornalisti molto bravi nell’esercitare il potere senza scontentare mai nessuno. Solo poche mesi fa, come altre volte, aveva corretto in privato alcune mie ricostruzioni storiche scrivendomi in privato, senza mezze misure, che ero incorso in “grossolane inesattezze” e pochi spazi dopo aggiungeva: “Ti voglio bene come è più di prima”. Questo è stato Santi nella vita e nel mestiere.

Sempre netto nelle opere e nei giorni della sua ricca esistenza. Invito a recuperare il suo libro “La mia Rai dalla lottizzazione alla occupazione 25 anni di storia in Calabria”. Un racconto in prima persona del servizio pubblico narrato senza sconti o mediazioni edulcorate. Santi con la tastiera e davanti la telecamera era bravo per linguaggio e sintassi, il valore aggiunto è sempre stata la sua onestà intellettuale. Nell’incipit Santino racconta quando nel dicembre del 1979 attende con i genitori e Annamaria la buona notizia dell’assunzione alla Rai per la nuova sede regionale. Era data già per fatta nella prima telefonata. Ma poi ne arriva un’altra dal caporedattore Ciccio Falvo che annuncia con voce contrita: “Ha telefonato Amintore Fanfani. Ha chiesto che fosse assunto un suo raccomandato, potevo dire di no ad uno come lui?”. Era saltato non il meno bravo, ma il più debole dal punto di vista politico. Santi che dovrà aspettare anni per essere assunto a tempo indeterminato in Rai grazie alla stima di Biagio Agnes che lo definisce “nu bravu guagliune” a Riccardo Misasi. Meglio tardi che mai in Rai Santi Trimboli.
Ha segnato soprattutto il calcio, ma non va dimenticato che è stato un giornalista di razza anche nella cronaca. Rievoco a dimostrazione come fu il primo a capire che nella morte del calciatore Donato Bergamini erano molte le tessere fuori posto; e infatti sarà lui ad incalzare il magistrato sull’autopsia che non era stata effettuata.
Santi ha raccontato e denunciato la lottizzazione e l’occupazione della Rai calabrese in modo diretto insieme al suo collega comunista Oloferne Carpino. Ne fu vittima Santino delle sue denunce. Non diventerà mai caporedattore pur avendone i titoli per anzianità professionale. Ancora una volta troppo “debole” politicamente.
Cattolico democratico, un robusto sentimento religioso, da sempre legato a padre Fedele Bisceglia, non mancava con la moglie di andare a trovarlo anche nei suoi ultimi mesi di vita.
Aveva fatto la gavetta di una volta, Santi. Ragazzo di bottega alla Gazzetta del Sud dove i giovani “biondini” abusivi venivano selezionati con rigore. Lo aveva notato nello stanza di corso Mazzini a Cosenza quel lupo di redazione di Enzo Arcuri, e non aveva avuto esitazione a segnalarlo a Piero Ardenti per prenderlo in squadra a quel mitico Giornale di Calabria che lo vedrà protagonista fino all’ultimo giorno di uscita. Vulcanico nelle iniziative, mi piace ricordare gli anni che il Rende era di serie superiore al Cosenza nella sua iniziativa di proporre una fusione attraverso una campagna del quotidiano. Finì a nulla ma era giornalismo d’intervento vero quello di Trimboli.
L’ho vissuto in prima persona. Nel palmares di testate su cui aveva scritto, molto apprezzato dal direttore Morace al Corriere dello Sport e ottimo corrispondente alla Stampa nella sua ricca biografia, devo testimoniare la sua sentita adesione all’uscita del pioneristico Quotidiano di Cosenza di Pantaleone Sergi. Oltre a portare una sana allegria di quelle che non guastano mai, la sua esperienza professionale per noi esordienti della carta stampata fu provvidenziale. Ne beneficiò più di tutti, Valter Leone, che della sua lezione ne ha tratto i rudimenti nodali per diventare uno dei migliori giornalisti regionali di sport dei tempi recenti. Santi non era casuale che avesse conservato con appartenenza la prima copia del numero del 13 giugno 1995. Anche quella volta la Rai gli inflisse due provvedimenti disciplinari che poi saranno cancellati da ricorsi e battaglie sindacali. Santi conservava nel suo prezioso archivio anche il carteggio con Sergio Zavoli dedicato alle ingerenza dei partiti nella Rai, in cui il grande giornalista aveva molto apprezzato e condiviso le tesi pubbliche espresse da Trimboli con la sua firma sui giornali locali.
Spero che l’Università della Calabria e il mondo della cultura sappiano recuperare il suo patrimonio giornalistico.

Nella sterminata produzione a volo d’uccello mi vengono in mente i nove campionati di serie A della Reggina raccontati in tv (mai considerato da Rai Sport), tante cronache di pregio, e merita ricordo anche un suo acuto libro per Falco Editore sull’ Unione Sovietica dove si ammira lo stile giornalistico dell’inviato di viaggio che coglie e mette in parallelo i mutamenti del crollo del comunismo di Stato nel 1989.
Amava la Sila e Camigliatello Santi. Uno juventino smodato, un calabrese fiero, politicamente un ulivista congenito. Negli ultimi anni non riusciva a ritrovarsi nel mondo e nel giornalismo modificato dalle nuove abitudini. Santi Trimboli è stato un ottimo giornalista. Ma aggiungeva anche altro. Soprattutto la sensibilità. Sono testimone della sua rabbia quando i media avevano annunciato la morte di Nuccio Ordine quando ancora il suo cuore batteva. Bravo, preciso e sensibile Santi Trimboli. E la sensibilità è l’abito più elegante e prezioso di cui l’intelligenza possa vestirsi. (redazione@corrierecal.it)

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