Il campo largo? «Non funziona se l’alleanza è solo aritmetica»
La sindaca di Perugia: «Dove siamo stati sconfitti dobbiamo ripensare qualcosa. Uniti non significa uniformi»

ROMA Il campo largo alla prova delle Regionali, tra sconfitte, successi e speranze. Su L’espresso, il check di Vittoria Ferdinandi, 39 anni sindaca di Perugia sul fronte unitario del centrosinistra. La domanda di Goffredo De Marchis è secca così come è netta la risposta della prima cittadina. Giani si è confermato in Toscana, ma Ricci e Tridico hanno fallito il ribaltone. Il campo largo non è pronto? «Non sottovaluto l’affermazione nelle regioni dove già governiamo. Significa che c’è una qualità di classe dirigente diversa rispetto alla destra. Dove siamo stati sconfitti dobbiamo cogliere l’opportunità di ripensare qualcosa ma assolutamente non la costruzione del campo progressista. Esistono delle differenze di percorso, uniti non significa uniformi, il nostro elettorato, compreso quello dell’astensione, è più attento, più esigente e oggi molto disorientato. Il campo largo non funziona quando non si radica bene, quando l’alleanza è solo aritmetica, quando manca la vera sintesi. Dobbiamo lavorare su questo, ma non c’è alternativa. Partendo da un patto generazionale. A Perugia è successo e i risultati sono arrivati». Sul campo largo e sul futuro della coalizione di centrosinistra, la sindaca ha le idee piuttosto chiare: «Continuare a credere nel progetto del campo largo e progressista significa credere nella possibilità di costruire una visione diversa di Paese: più giusta, più solidale, più capace di tenere insieme le persone invece che dividerle. Un’alleanza umana e politica, radicata nei territori, nelle piazze, nei luoghi di lavoro, nelle scuole, dentro la vita reale delle comunità. Oggi la politica, in Italia e nel mondo, sembra spesso tornata a una fase primordiale: quella dell’odio, del “mi piace” o “non mi piace”, dell’urlo che sovrasta la parola. Ma il compito di chi crede nella democrazia è ripoliticizzare la fiducia, restituire senso al confronto, e dare voce alle fragilità anziché strumentalizzarle. Non possiamo rassegnarci a una politica fatta solo di nomi e leadership. Serve tornare a camminare casa per casa, strada per strada, costruendo insieme ai cittadini un progetto per l’Italia che non lasci indietro nessuno. Dobbiamo avere il coraggio di essere radicali nei valori e riformisti nei metodi, di parlare alle persone non con slogan semplici ma con soluzioni concrete, capaci di affrontare i problemi del lavoro, della povertà, delle disuguaglianze, dell’ambiente, della pace. Credo in un’Italia che non si piega al linguaggio dell’odio, che sa ancora scegliere la complessità, che non teme la parola “insieme”. Perché solo insieme si costruisce il futuro».