Pasolini calabrese. Pedinamento di un’appartenenza a 50 anni dalla morte
L’indizio più semplice è che a mezzo secolo dalla tragica morte all’Idroscalo, Pier Paolo Pasolini è ancora attuale come testimoniano le numerose celebrazioni in calendario in ogni dove

“La sua forza, anche poetica, è che era molto diverso da come è stato poi mummificato nel linguaggio comune”. Parola di Giuliano Ferrara nel suo recente editoriale sul Foglio “Il midcult perbenista che tiene in vita Pasolini senza capirlo”. L’indizio più semplice è che a mezzo secolo dalla tragica morte all’Idroscalo, Pier Paolo Pasolini è ancora attuale come testimoniano le numerose celebrazioni in calendario in ogni dove.
Da fervente pasoliniano, forse afflitto da pasolinismo, proverò a tracciare l’appartenenza molto stretta che il più grande intellettuale italiano del ‘900 ebbe con la Calabria.
L’altra sera ho rivisto il film “Uccellacci e uccellini”, lavoro modernissimo e profetico sulla nostra moderna condizione politica e sociale.
Mi veniva da riflettere su come in quella straordinaria pellicola i tre protagonisti siano legati alla cultura calabrese. Dico provocatoriamente tre, perché a mio parere il personaggio di Totò, per la prima volta protagonista di un film d’autore, è maschera riconosciuta della cultura meridionale, Calabria inclusa. Lo sono a tutto tondo gli altri due. Ninetto Davoli, che interpreta il figlio di Totò, è di note origini calabresi. Genitori poverissimi di San Pietro a Maida, lui stesso non ricorda se sia nato in Calabria o a Roma. Quello che è certo è che Ninetto e i suoi genitori fanno parte di una grande comunità calabrese che Pasolini ha ben conosciuto quando si rifugia con la mamma nella periferia della Capitale. Sono nostri corregionali, poco raccontati a differenza di quelli che vanno al Nord, che affollano le borgate di Tuscolano e Casilino. Più che in delle case abitano spesso nelle baracche costruite sotto gli archi dell’acquedotto Felice. Sono in larga parte imbianchini e manovali e i loro figli maschi spesso appellati “calabrotti” diventeranno pure loro ragazzi di vita pasoliniani che ammazzano il tempo tra la villa delle Vignacce e le notti in centro. Ne abbiamo riscontro anche dal progetto incompiuto del romanzo “Il Rio della Grana” che nello schema iniziale della trama prevedeva la storia di due calabresi emigrati nella capitale.
E nel soggetto de “La comare secca” scritto da Pasolini per Bertolucci appare un soldato calabrese di Feroleto Antico che scopre Roma. Comunque, uno dei principali biografi di Pasolini, Enzo Siciliano il, suo amico intellettuale figlio di genitori di Bisignano, appunta così nel suo libro adesso saggiamente ristampato: “Ninetto della Calabria area marginale e conservatrice della civiltà greca, il Ninetto pre-greco puramente barbarico, che batte il tallone come adesso i preistorici nudi Demka del basso Sudan”.
Anche il corvo (un uccello autentico) in “Uccellacci e uccellini”, metafora dell’intellettuale di sinistra, ha non per caso la voce dello scrittore Francesco Leonetti, allievo e grande amico di Pier Paolo che già gli aveva assegnato il ruolo di un apostolo nel suo film sul Vangelo. Leonetti era nato a Cosenza nel 1924 e non doveva essere solo un incidente della storia quel dato biografico dello scrittore che si affermerà a Bologna visto che in una sua poesia scrive: “Io nativo cosentino in un fitto di larici, guardavo infante d’estate, alle colonie greche fra i sibariti e ai popoli di mare”. Io non ho le prove ma credo che Leonetti e Pasolini abbiano parlato di Calabria.

Pier Paolo ebbe la Calabria nella sua infinita ricerca intellettuale in ogni mezzo d’espressione. Non manca la nostra regione nei set meridionali del Vangelo con tanto di Madonna giovane scoperta a Crotone, terra già provinata nel documentario “Comizi d’amore” che diventa testimonianza sui nostri costumi sessuali negli anni del boom, ormai celebre la polemica sui banditi ben ripresa dall’ultimo documentario di Mimmo Calopresti il più pasoliano dei nostri registi in “Cutro, Calabria, Italia” che coniuga egregiamente antiche vicende calabresi con le tragedie dei migranti morti in mare. Perché Mimmo, calabrese, conosce bene la poesia “Profezia” di Pier Paolo che nel 1962 guardava lontano scrivendo: “Sbarcheranno a Crotone o a Palmi, a milioni, vestiti di stracci asiatici, e di camicie americane. Subito i Calabresi diranno, come da malandrini a malandrini: ecco i vecchi fratelli, coi figli e il pane e il formaggio”.
Pasolini grande poeta che aveva dato dignità al dialetto quando non era considerato. Ed è un calabrese a rintracciare per primo questa cifra. Umile Peluso, intellettuale cosentino e in futuro senatore del Pci, negli anni Cinquanta è il segretario del Premio Cattolica-Calendario del Popolo quando una prestigiosa giuria (Eduardo De Filippo, Salvatore Quasimodo, Ernesto De Martino) assegna il riconoscimento ad uno sconosciuto giovane alla sua prima apparizione in pubblico che vede premiato un poema di 72 versi nel dialetto della sua friulana Casarsa.
Pasolini aveva un “rapsodico amore” per la Calabria. Mi aiuta a riprendere questa ricerca il prezioso volume “La Calabria di Pasolini” che il documentato Amedeo Furfaro scrisse per Periferia nel 1990, precursore della diffusa esplorazione che oggi continua il docente dell’Unical Carlo Fanelli.
Pasolini fece un approfondito studio sull’antologizzazione della poesia popolare e dialettale e la Calabria, fornendo prezioso scavo. Il poeta mette in antologia i versi di Michele Pane e vi aggiunge Butera, De Marco e tutti gli altri dialettali che abbiamo dimenticato. E nell’antologia della poesia popolare italiana del 1955 si possono scorrere i canti di Pizzo e Melicuccà e via declinando attraverso Polistena, Parghelia, Feroleto, Nicastro, Pianapoli e vi si trova anche “Sira la vidi la Calavrisella”.
Evito di tornare sulle note polemiche delle pagine contestate su Cutro e sul Premio Crotone per ricordare soltanto che Pasolini aveva aggettivato in modo giusto. Ben sapeva Pier Paolo, come scrisse nella “Lettera dalla Calabria” pubblicata da Paese Sera, che in quel paese il 40 per cento dei cittadini all’epoca erano privati dal voto perché condannati per furto di legname nel latifondo dei Barracco. La querela fu ritirata e il processo mai celebrato. Mezzo secolo dopo la morte, Pasolini a Cutro sarà celebrato senza più divisioni e il “Centro studi Tajani” animato dal cutrese Antonio Anastasi chiede anche di intitolargli il Belvedere che affaccia su quelle dune gialle richiamato nel celebre reportage.
Non so quanti calabresi sappiano che lo sperduto ponte della frazione di Ariola nel Vibonese è oggi intitolato a Pier Paolo Pasolini perché il poeta passò da quella contrada negli anni Cinquanta e parlando con quei calabresi abbandonati da tutti donò loro cinquantamila lire per costruire un ponte provvisorio di legno. Vito Teti, che ebbe testimonianza diretta sull’episodio da Sharo Gambino che era amico di Pierpaolo, spero abbia trovato tracce di una corrispondenza tra Pasolini e un residente di quella contrada abbandonata da tutti. A me piace immaginare fuori contesto che pensando ai suoi conoscenti di Ariola, e ai calabresi del Prenestino, al medico di Paola che gli chiedeva conto di Cutro in una lettera privata, e ai banditi e ai morti di Melissa che andò a salutare a Fragalà a dieci anni dell’eccidio, mi piace immaginare che abbiano tutti ispirato Pierpaolo in quello scritto in cui si legge: “Era nel mondo un figlio e un giorno andò in Calabria: era estate, ed erano vuote le casupole, nuove, a pan di zucchero, da fiabe di fate color della fame. Vuote. Come porcili senza porci, nel centro di orti senza insalata, di campi senza terra, di greti senza acqua. Coltivate dalla luna le campagne”. Un comizio d’amore per la Calabria secondo Vito Barresi. Chissà che ne pensa Giuliano Ferrara?
In copertina sul set di “Uccellacci e uccellini”
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