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“new generation”

‘Ndrangheta, la “pesca” dei Cordì tra i giovani di Locri come «nuove leve» del clan

Giovani – scrivono i giudici nelle motivazioni – «il cui contributo si è innestato senza soluzione di continuità nel perseguimento degli obiettivi del programma criminale»

Pubblicato il: 28/10/2025 – 14:59
di Mariateresa Ripolo
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‘Ndrangheta, la “pesca” dei Cordì tra i giovani di Locri come «nuove leve» del clan

REGGIO CALABRIA Un sodalizio che ha continuato ad operare nel territorio di Locri, «avvalendosi dell’apporto di nuove leve, il cui contributo si è innestato senza soluzione di continuità nel perseguimento degli obiettivi del programma criminale del sodalizio stesso». Per i giudici della Corte d’Appello di Reggio Calabria (Alfredo Sicuro presidente, consiglieri Adriana Trapani e Margherita Berardi), che si sono pronunciati nell’ambito del processo in secondo grado nato dall’inchiesta “New Generation – Riscatto II” della Dda reggina, «l’esistenza della cosca Cordì rappresenta un dato acquisito nella storia del distretto reggino, in quanto acclarato da numerose sentenze passate in giudicato». «Non ci si trova in presenza di un nuovo sodalizio», scrivono i giudici nelle 250 pagine delle motivazioni.

L’inchiesta: il clan Cordì e la ricerca di «nuove leve»

L’operazione era scattata nel luglio 2022 e aveva portato all’arresto di 29 persone accusate, a vario titolo, di associazione per delinquere di stampo mafioso, produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanza stupefacente, detenzione di armi e munizioni, danneggiamento, estorsione pluriaggravata, traffico e spaccio di banconote false. «Punto di riferimento di tutti gli altri sodali», secondo gli investigatori i giovanissimi Riccardo Francesco Cordì (classe ’96) e Luca Scaramuzzino (classe ’93), e condannati in secondo grado rispettivamente a 10 anni e 5 mesi, e 8 anni di reclusione. Per gli investigatori a contraddistinguersi inoltre «per autorevolezza e operatività» all’interno del gruppo, c’erano anche Antonio Aversa e Salvatore Congiusta, condannati a 4 anni e 7 anni di reclusione.
Le indagini evidenziarono che lo scopo del clan era duplice: controllare, attraverso il giovane gruppo, le attività svolte sul proprio territorio e, allo stesso formare giovani leve assoggettate all’autorevolezza criminale dei Cordì «da cui poter attingere in futuro per rafforzare l’organigramma specifico della consorteria» tanto che «anche all’esterno il gruppo di ragazzi viene considerato una propaggine della cosca Cordì». Per i giudici di secondo grado, «il nucleo essenziale del reato di associazione per delinquere è rappresentato dal pactum sceleris tra i sodali». Nel contenuto del patto sodale di tipo mafioso, spiegano i giudici nelle motivazioni, «si deve ritenere compresa l’intenzione di assicurare una particolare perduranza dell’associazione nel tempo, essendo per sua natura ideata per sopravvivere ai singoli partecipi e quindi anche un loro graduale avvicendamento è implicitamente raffigurato come ipotesi naturale fin dall’inizio».

Riccardo Francesco Cordì

A spiccare è la figura di Riccardo Francesco Cordì, destinatario di un provvedimento di allontanamento – quando era minorenne – dalla famiglia e dal territorio di origine, adottato dal Tribunale per i minorenni di Reggio Calabria. Al raggiungimento della maggiore età, nel 2014, Riccardo Francesco Cordì fece ritorno a Locri, iniziando a commettere ad essere protagonista, secondo quanto emerso dalle indagini, di pestaggi, danneggiamenti, furti. «Quanto alla partecipazione del Cordì a tale sodalizio, – rilevano i giudici – si ritiene che egli non esauriva la propria opera nel fare da anello di congiunzione tra l’omonima cosca ed il gruppo dedito al commercio di stupefacenti ma, piuttosto partecipava consapevolmente al sodalizio mafioso a struttura familiare».

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