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Inchiesta “Hydra”

‘Ndrangheta a Milano, la rissa al bar del Duomo tra calabresi “risolta” da Santo Crea. Il pentito: «Davanti a lui, tutti zitti»

Il collaboratore Cerbo “Scarface” ai pm della Dda racconta dell’episodio nato dopo le avance di un barista alla sua amante. «Dall’accento si sono capiti subito»

Pubblicato il: 31/10/2025 – 11:17
di Giorgio Curcio
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‘Ndrangheta a Milano, la rissa al bar del Duomo tra calabresi “risolta” da Santo Crea. Il pentito: «Davanti a lui, tutti zitti»

LAMEZIA TERME «Sento il suo nome per la prima volta nel gennaio-febbraio 2020, ero a Sant’Elena D’Este, quindi stavo facendo la truffa a Rovigo. E l’ho sentito da Vestiti perché, quando caricava la merce, diceva che i viaggi glieli faceva lui». È il pentito William Alfonso Cerbo a parlare davanti ai pm della Distrettuale antimafia di Milano. Il collaboratore, 43 anni – appartenente secondo gli inquirenti al clan dei «carcagnusi» di Catania capeggiato da Santo Mazzei, poi avvicinatosi ai Senese (clan di camorra nella capitale) dopo la scomparsa del proprio riferimento catanese Gaetano Cantarella «Tanu U’ curtu» per lupara bianca il 3 febbraio 2020, in questo caso tratteggia il profilo di Demetrio Tripodi (cl. ‘69) di Melito di Porto Salvo, anche lui tra le decine di indagati e a giudizio nel processo “Hydra” nato dall’inchiesta sul «sistema mafioso lombardo», la presunta alleanza tra ‘ndrangheta, cosa nostra e camorra.

«Tripodi affiliato alla ‘ndrangheta»

Vestiti, come raccontato dal pentito, «mi parlava di questo Demetrio come un affiliato della ‘ndrangheta». “Scarface”, poi, riferisce di un altro episodio sempre legato alla figura di Tripodi, e risalente ai tempi di un presunto controllo subìto. «Ero sotto indagine dalla Procura di Rovigo, il camion di Demetrio, che veniva spesso a caricare, è stato seguito dalla Guardia di Finanza. Gli hanno fatto un controllo nella logistica (…) e gli hanno chiesto di questo Willi (Cerbo ndr), ma non ci conoscevamo…» quindi, spiega ancora il collaboratore, Giancarlo Vestiti gli avrebbe riferito: «(…) vedi che ci hanno chiesto di ‘sto Willi, ma chi è?” “Ah, a posto, è un amico mio”. E poi lui me lo ha riferito. In buona sostanza i viaggi glieli faceva questo ‘ndranghetista che si chiama Demetrio…», chiosa il pentito rispondenti ai pm. Demetrio Tripodi, secondo l’accusa, è «appartenente alla cosca Iamonte» e quindi un “componente” della parte calabrese.

Le avance all’amante di Cerbo

Da Tripodi a una figura di spessore criminale ben superiore: Santo Crea (cl. ’52), anche lui di Melito Porto Salvo e considerato dall’accusa «espressione della cosca Iamonte, facente parte del locale di Desio – collegata a quella di Melito Porto Salvo – operante nell’ambito del sistema mafioso lombardo. «La prima volta che vedo Crea Santo è stata per il Bar Mercurio – racconta Cerbo ai pm – e in quel periodo avevo in zona Duomo un centro estetico-barbiere intestato all’allora mia amante e capitò che accanto a questo centro estetico ci fosse il Bar Mercurio. Uno dei loro camerieri, un albanese, insulta la mia amante, poi non ce la fece più e me lo raccontò», spiega il pentito ai pm milanesi. Da qui è partita una vera escalation che il pentito catanese illustra nei dettagli. E racconta che, un sabato pomeriggio, approfittando della presenza di Vestiti nel suo negozio, manda a chiamare il cameriere del bar a fianco, e lo fa salire nel suo ufficio. Qui, davanti a tutti, gli avrebbe dato un paio di schiaffi. «Vestiti dopo lo schiaffo gli disse: “Ora scendi al bar, chiami il titolare e gli dici che ti licenzi”. Dice: “Ma perché?” “O ti licenzi o da domani in poi ci dice che il bar rimane chiuso”». Poco dopo uno dei due titolari del bar si sarebbe recato dal negozio a fianco chiedendo spiegazioni a Vestiti che, in tono perentorio, avrebbe confermato quella che sembrava una minaccia. «Comunque sì, o lo licenzi o tu non apri più».

La controreplica: «Il centro estetico da domani in poi rimane chiuso»

Tutto finito lì? Per niente. Qualche ora dopo, nel pomeriggio, la situazione degenera. In negozio un tipo cerca di contattare William Cerbo e, raggiunto al telefono, gli avrebbe detto “vieni perché ora il centro estetico da domani in poi rimane chiuso” e ancora, “Vieni che ti aspettiamo”. A quel punto Cerbo racconta di aver contattato Vestiti e di essersi dati appuntamento sotto casa per le 17. «Spunta con questa macchina lui, Santo Crea, Molli l’albanese, e Antonio Sorrentino e mi fa: “Ma che accento avevano?” e io gli dissi: “Mi è sembrato meridionale” e mi rispose: “Io per non sbagliare sono al completo” (…) “se sono calabresi lui è Santo il mio compare”», portando con loro anche una pistola. Per ogni evenienza o comunque per ribadire il loro potere criminale.

Reverenza assoluta per Santo Crea

E il racconto del pentito prosegue, spiegando l’evolversi di quel pomeriggio. «Andiamo al bar e questi qua dicono che mi volevano aggredire inizialmente. Insomma, c’erano cinque calabresi, tra cui il titolare del bar, Fabio, il cui suocero, il papà della moglie, è un ‘ndranghetista conosciuto, lo apprendiamo tutti in quell’episodio». E il perché lo spiega proprio “Scarface”. «Dopo il primo input, diciamo che stavamo litigando alle mani tutti quanti, la moglie di Fabio, tipo che spende una parola, non ricordo in che termini, quello capisce che era del suo paese e Santo dice: “Ma di dove sei?” Insomma, erano dello stesso paese, della stessa famiglia… e quindi reverenza assoluta per Santo. Poi Vestiti dopo è intervenuto per mostrare la sua caratura, però non c’era più bisogno perché, devo essere sincero, quando è intervenuto Santo Crea la cosa si è eclissata completamente».

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