Da Gioia Tauro ad Anversa, gli affari in “porto” della ‘ndrangheta nel narco stato
La lettera denuncia di un giudice coraggioso. «Un portuale corrotto incassa 100mila euro per spostare un container» e «nessuno mi protegge»

REGGIO CALABRIA «Aveva ragione Oriana Fallaci», scrive Roberto Arditti su “Il Tempo”. Il riferimento è alla lettera-sfogo di un giudice istruttore belga affidata ad un sito e ripresa dai media. Il tema centrale è il crimine dilagante in quello che viene definito dal togato «un sistema mafioso parallelo». Quattro mesi vissuti in una casa protetta, al riparo da minacce e rischio attentati: tutta “colpa” delle sue indagini su doganieri, poliziotti e funzionari corrotti. «Nessuno mi protegge, né governo né istituzioni. Zero supporto, zero indennizzi». Ha sfidato i narcos, tentato di indagare sul loro sistema, sul potere esercitato ad Anversa, dove «un portuale corrotto incassa 100mila euro per spostare un container». Arditti “denuncia” la presenza di una regia occulta: i Fratelli Musulmani. «In Belgio, tramite la Ligue des Musulmans de Belgique, controllano moschee, scuole coraniche, associazioni, dando un’ossatura ideologica alle periferie islamizzate». L’Unione Europea, a settembre 2025, ha aperto indagini sul loro ruolo «sovversivo». Legami che fanno presagire possibili connivenze con il terrorismo.


Questione di porti
Perché la mala punta sui porti? Lo scalo di Gioia Tauro è stato per molti anni – come emerso in recentissime inchieste – la principale porta di ingresso per la droga commercializzata dalla ‘ndrangheta in tutta Europa. L’operazione (e la sentenza) “Nuova Narcos Europea”, coordinata dalla Distrettuale antimafia di Reggio Calabria ed eseguita dalla squadra mobile, ha ricostruito quello che gli inquirenti definivano un vasto sistema criminale gestito dalla cosca Molè, ritenuta ancora pienamente operativa nonostante precedenti operazioni di polizia e scissioni interne. Le indagini, durate due anni, avevano documentato un traffico internazionale di stupefacenti con il sequestro di una tonnellata di cocaina proveniente dal Sud America via Spagna, e una rete di estorsioni estesa dal mercato ittico di Gioia Tauro fino a Lombardia e Toscana. Elemento particolare dell’inchiesta, l’ipotesi investigativa secondo cui la cosca avrebbe utilizzato sommozzatori specializzati per recuperare carichi di droga in mare presso il porto gioiese. L’operazione aveva portato al sequestro di circa tre milioni di euro e aveva evidenziato, secondo l’accusa, il ruolo delle nuove generazioni del casato mafioso nel combinare metodi tradizionali e tecnologie moderne per il controllo del territorio.
Dalla Calabria ai Paesi bassi, lo spartito non cambia. La presenza della ‘ndrangheta è decisamente ingombrante. Le ‘ndrine hanno mostrato di poter “controllare” il porto di Rotterdam, di Amsterdam e quello belga di Anversa. Si tratta di check point strategici per le operazioni di import ed export delle merci di tutto il mondo. Una rete di distribuzione che permette di far circolare beni legali in tutta Europa e dove ovviamente trovano spazio anche i traffici illegali. «Nei Paesi Bassi abbiamo un grande problema legato alla criminalità a livello globale. Ogni banda criminale del mondo è presente ad Amsterdam, ma abbiamo una forza di polizia piccola che da sola non riesce a gestire tutto questo. Secondo me, è stato un errore quello di chiamare questa criminalità autoctona Mocro Maffia. Quasi a dire il problema ce l’hanno portato da fuori, cioè è un fenomeno esogeno, come spesso succede», dice il giornalista Koen Voskuil sollecitato dalle domande del procuratore di Napoli Nicola Gratteri e dal professore e scrittore Antonio Nicaso. E’ diffusa, evidentemente anche lontano dai confini italiani, «l’idea di pensare che le mafie siano una sorta di virus che vengono ad infettare un territorio sano» sottovalutando il fenomeno e dimenticando che chi vende cocaina o porta a termine affari illeciti sia nato e cresciuto in quella determinata porzione di territorio. Vuskuil lo dice chiaramente: «Il termine Mocro Maffia non è particolarmente appropriato. Prima di tutto, sono nati tutti qui, quindi sono perfettamente olandesi, parlano olandese. E non sono nemmeno tutti di origine marocchina, provengono da diversi Paesi. Però è un termine di impatto e penso che aiuti a richiamare l’attenzione su quello che è un grande problema dei Paesi Bassi e per questo lo uso anch’io».

Il pericolo, la ‘ndrangheta in Belgio
ll 3 ottobre scorso, il Ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha incontrato al Viminale il Ministro della Sicurezza e Affari Interni del Belgio Bernard Quintin. «La collaborazione tra le nostre Forze di Polizia – ha dichiarato Piantedosi – è molto intensa e ha come principali obiettivi il contrasto alla criminalità organizzata transnazionale, ai trafficanti di esseri umani, al terrorismo, e agli stupefacenti. L’analisi dei fenomeni ci mostra che la ‘ndrangheta in questo momento è tra le organizzazioni criminali più attive in Belgio, i cui interessi illeciti si estendono anche al traffico di droga nel porto di Anversa. In questa prospettiva, uno degli strumenti più utili per affrontare queste dinamiche è l’Alleanza dei Porti, lanciata nel 2024 proprio per rafforzare la cooperazione tra diversi attori e contrastare eventuali infiltrazioni malavitose. Un’altra delle principali attività della ‘ndrangheta in Belgio è quella del riciclaggio di denaro, che viene spesso investito in immobili e in attività commerciali. Questo conferma come sia necessario potenziare, quanto più possibile, l’uso delle indagini patrimoniali, seguendo l’intuizione investigativa cruciale dei giudici Falcone e Borsellino». «Per quanto riguarda invece la lotta al terrorismo – continua il Ministro Piantedosi – sono convinto che una forte attività sinergica transnazionale possa ridurre il rischio di attentati e contribuire a smantellare le reti terroristiche». «Continueremo a lavorare insieme – ha concluso il titolare del Viminale – a livello tecnico-operativo per intensificare lo scambio di informazioni e analisi e la formazione delle Forze di Polizia per determinare strategie e strumenti comuni per contrastare le reti criminali».
La presenza calabrese in Belgio
La presenza della mala calabrese in Belgio è reale. Lo scorso 26 settembre, le autorità belghe hanno consegnato all’Italia l’ex latitante di ‘Ndrangheta Sebastiano Signati, nato a San Luca nel 1966 , già inserito fino al 2015 nell’elenco dei ricercati di massima pericolosità, contiguo alla famiglia Romeo “Staccu” di San Luca. L’uomo, a cui i Carabinieri hanno notificato l’ordine di esecuzione emesso dalla Procura Generale della Repubblica di Reggio Calabria, dovrà scontare una pena definitiva di 28 anni e 2 mesi di reclusione per effetto di tre sentenze irrevocabili per traffico internazionale di sostanze stupefacenti e porto e detenzione abusiva di armi.
Fondamentale è stato l’intervento dell’Unità I-CAN (Interpol Cooperation Against ‘Ndrangheta) del Servizio per la Cooperazione Internazionale di Polizia della Direzione Centrale della Polizia Criminale che, in collaborazione con i Carabinieri del Comando Provinciale di Reggio Calabria, sulla base delle attività di raccordo avviate con le autorità belghe, hanno reso possibile assicurare l’esecuzione del provvedimento e il rientro in Italia dell’uomo. La cattura del latitante, era avvenuta nel novembre 2015 in Belgio, dove fino ad un mese fa Signati era stato detenuto. (f.benincasa@corrierecal.it)
Il Corriere della Calabria è anche su WhatsApp. Basta cliccare qui per iscriverti al canale ed essere sempre aggiornato