‘Ndrangheta a Cosenza, la confessione. «A Reggio Calabria gli Zingari devono stare buoni, a Cosenza ormai hanno preso piede»
Gli arresti rompono gli equilibri all’interno della Confederazione. Il clan, in terra bruzia, conquista posizioni di potere

COSENZA «Io sono stato tanti anni in carcere e ho avuto contatti, a Padova nel 2014, con soggetti della criminalità organizzata di Reggio Calabria, loro mi hanno detto che gli zingari là devono stare buoni, non devono fare nulla e stanno sotto di loro (…) mentre qua a Cosenza ormai gli zingari fanno quello che vogliono, hanno preso piede». La frase intercettata è da attribuire ad un soggetto legato alla criminalità cosentina, con un passato vissuto dietro le sbarre e un cognome pesante. Quanto dichiarato viene riportato nel corso di una delle recenti udienze da Rocco Silvestri: ispettore Capo della Polizia di Stato in servizio alla squadra mobile di Cosenza e impegnato in qualità di teste in Corte d’Assise nel processo di primo grado scaturito dall’inchiesta “Recovery“. Silvestri ha partecipato all’attività investigativa e mentre passa in rassegna gli episodi contestati agli imputati, si sofferma sulla “confessione” di chi pare rassegnato dinanzi al potere conquistato dal clan degli Zingari nella città dei bruzi e nell’hinterland cosentino. L’elemento raccolto è utile agli investigatori per cristallizzare i rapporti di forza all’interno della galassia criminale, con una chiara e netta evoluzione – in seno alla Confederazione di ‘ndrangheta – del clan nomade, decisamente attivo sul business della droga.
L’ascesa degli “Zingari”
La Dia, direzione investigativa antimafia, nell’ultima relazione semestrale ha mappato la presenza di clan e cosche sul territorio cosentino partendo dalle risultanze investigative legate all’operazione nome in codice “Reset” che aveva consentito di documentare l’operatività dei clan Lanzino-Patitucci e proprio del clan degli “Zingari“, attivi nello spaccio di stupefacenti approvvigionati prevalentemente nel reggino e ceduti nel capoluogo e nell’hinterland cosentino. Gli “Zingari” avrebbero conquistato anche una buona porzione della Piana di Sibari. Sul versante jonico cosentino e fino a Scanzano Jonico (in provincia di Matera) si conferma – sempre secondo la Dia – l’operatività dei clan Abbruzzese e Forastefano di Cassano all’Ionio.
L’ascesa dei sodalizi a guida nomade è stata – in passato – ostracizzata da alcuni gruppi della mala cosentina. C’è un episodio, finito nelle carte dell’inchiesta “Recovery”, riportato in Corte d’Assise a Cosenza da Antonio Donato, sostituto commissario in quiescenza, all’epoca dell’inchiesta in servizio alla squadra mobile Cosenza. Nel corso di una cena a Scilla, racconta il teste, si discute di rapporti di potere e di posizioni assunte dalle varie cellule criminali all’interno della Confederazione. In quella occasione, uno dei commensali tira in ballo Francesco Patitucci – ritenuto dall’accusa il vertice del “sindacato” di ‘ndrangheta cosentina – rendendo edotti gli interlocutori della posizione assunta dallo stesso boss. «Quando era libero non vedeva di buon occhio gli Zingari, ritenendo gli Italiani un’altra cosa». Il ritorno in carcere di Patitucci avrebbe portato ad uno stravolgimento dei piani e delle dinamiche che regolavano – fino a quel momento – gli equilibri interni ai clan. «Dopo l’arresto di Patitucci, la reggenza è stata assunta da Roberto Porcaro che invece con gli Zingari aveva buoni rapporti». La strategia adottata da Porcaro, considerato il delfino di Patitucci, è evidentemente agli antipodi rispetto a quella portata avanti dal suo “dominus”, decisamente più incline a tenere a frenare le ambizioni del clan nomade. (f.b.)
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