“La ‘ndrangheta di casa nostra”: in Brianza la mostra che racconta le radici lombarde dei clan
A Vimercate la prima esposizione documentaria itinerante sulla criminalità organizzata calabrese: dalla “banca clandestina” di Seveso all’inchiesta Crimine-Infinito

C’è un filo sottile, ma tenace, che lega la Calabria alla Brianza. Un filo fatto di partenze e lavoro, ma anche di silenzi e di ombre. È il filo che racconta la storia della ’ndrangheta trapiantata nel Nord produttivo, al punto da diventare, nel tempo, una presenza stabile, silenziosa, perfino “domestica”. E proprio da questa consapevolezza è nata “Mafie in Brianza. Storia e documenti sulla ’ndrangheta di casa nostra”, la prima mostra documentaria itinerante dedicata alle vicende mafiose che, dagli anni Sessanta a oggi, hanno intrecciato la storia economica e sociale del territorio brianzolo. La mostra, promossa dal Comune di Vimercate insieme all’associazione Brianza SiCura Odv, è stata inaugurata ieri nel Centro Culturale Santa Marta e resterà visitabile per due weekend consecutivi.
Un viaggio negli archivi del potere mafioso
La mostra, pensata come un percorso visivo e narrativo, accompagna il pubblico attraverso sette decenni di cronache giudiziarie e sociali, restituendo una mappa inedita della presenza ’ndranghetista in Lombardia. Si parte dagli anni del soggiorno obbligato dei boss calabresi, quando il Nord divenne una sorta di terra d’esilio, per arrivare ai decenni in cui quella presenza si trasformò in radicamento economico e sociale. «La Brianza è oggi una delle aree lombarde con il più alto tasso di infiltrazione mafiosa, ma anche con la minore percezione del problema», ha spiegato nei giorni scorsi Roberto Beretta, presidente di Brianza SiCura Odv. «Per questo è importante riportare i fatti alla luce, dare ai cittadini strumenti di conoscenza. Solo così la legalità diventa una responsabilità condivisa».
Dalla “banca della ’ndrangheta” alla Cava Molinara: l’economia del sommerso
I documenti esposti ricostruiscono le tappe cruciali di questa colonizzazione criminale. Tra i casi simbolo, spicca quello della “banca della ’ndrangheta” di Seveso, scoperta nel 2014: una rete di società, conti correnti e imprenditori compiacenti che riciclavano i proventi di estorsioni e usura. Il gip di Milano Simone Luerti la definì «una sorta di Banca d’Italia della ’ndrangheta», dove i capitali sporchi venivano reinvestiti in edilizia, ristorazione, trasporti e perfino energie rinnovabili. Non meno eclatante il caso della Cava Molinara di Desio, scoppiato nel 2008: 140mila metri cubi di rifiuti tossici sepolti sotto terra dai clan dei fratelli Stellitano. Piombo, oli esausti, cadmio e cromo esavalente finiti nel suolo della ricca Brianza, a due passi dalle villette e dalle fabbriche. Una “Terra dei fuochi” lombarda, dove l’economia pulita si mescola all’inquinamento morale e ambientale della criminalità.
Crimine-Infinito: la Lombardia come nuova Calabria
Un’intera sezione è dedicata all’operazione Crimine-Infinito, la maxi inchiesta coordinata dalle Dda di Milano e Reggio Calabria, che nel 2010 portò a 300 arresti e oltre 200 condanne.
Le intercettazioni, i summit ripresi a Paderno Dugnano e al Santuario di Polsi, la mappa delle “locali” lombarde (ben 16, con circa 500 affiliati): tutti tasselli di un quadro che conferma la completa strutturazione della ’ndrangheta al Nord, non come “ospite”, ma come organizzazione radicata e autonoma, con tanto di gerarchie, riti e affari condivisi con imprenditori locali.

La ‘ndrangheta nella movida e nella politica: un’infiltrazione silenziosa
Accanto ai casi storici, “Mafie in Brianza” non dimentica le ombre del presente: le infiltrazioni nella politica locale, la presenza nei locali notturni, le pressioni su appalti e lavori pubblici.
Un mosaico che mostra come la mafia si sia trasformata, abbandonando il volto armato per indossare quello dell’imprenditore, del finanziatore, del “consulente fidato”.
«Questa mostra – ha spiegato Vittoria Gaudio, assessora con delega alla lotta alle mafie e alla corruzione – affronta con coraggio una delle sfide più complesse del nostro territorio. È un’occasione per guardare in faccia la realtà e costruire una cultura della legalità che parta dal basso».
Attraverso pannelli illustrativi, articoli d’epoca, fotografie e materiali d’archivio, “Mafie in Brianza” diventa così una lente d’ingrandimento su quella “zona grigia” fatta di affari, relazioni e silenzi che ha permesso alle organizzazioni criminali di prosperare lontano dai luoghi d’origine.
Dopo Vimercate, la mostra viaggerà in altri Comuni brianzoli, nelle scuole e nei centri civici, con l’obiettivo di creare una rete di consapevolezza. Una scelta simbolica: la mafia è mobile, ma lo è anche l’impegno civile. Perché la storia della ’ndrangheta in Brianza (e la sua capacità di mimetizzarsi tra le pieghe dell’economia legale) non è solo un capitolo del Nord. È un frammento della storia calabrese più scura che continua a riscriversi lontano da casa. (fra.vel.)
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