La Renault di Moro come la Mehari di Siani: le auto dell’orrore che diventano memoria civile
La scelta di far “parlare” quell’auto in un territorio dove la criminalità organizzata condiziona spesso la vita pubblica, aggiunge peso al simbolo

La Calabria, a Catanzaro, ha ospitato per la prima volta al pubblico la vettura che per decenni è rimasta deposito silenzioso di un capitolo cruciale della storia italiana. Si tratta della Renault 4 rossa in cui, il 9 maggio 1978, fu rinvenuto il corpo di Aldo Moro. Organizzata nell’ambito delle “Giornate della Legalità” promosse dalla Polizia di Stato e dalla Camera di Commercio di Catanzaro Crotone Vibo Valentia, l’esposizione incrocia la testimonianza civile, esattamente come un’altra vettura simbolica che ha già percorso un cammino lungo e partecipato: la Citroën Mehari appartenuta al giornalista Giancarlo Siani, vittima della camorra.

La Mehari di Siani è stata guidata in staffetta per le strade di Napoli, è stata presentata in installazioni, è stata “mossa” dalla staticità per diventare esperienza. Il contatto fisico con l’oggetto – vederla, magari toccarla o semplicemente sostarvi accanto – sottrae la memoria al semplice racconto. E’ anche una strategia della Polizia di Stato, da tempo impegnata a presentarsi non solo come un ordine di agenti repressivi ma anche come attori istituzionale in dialogo con i cittadini. Esporre un veicolo che ha segnato una tragedia nazionale significa usare simboli concreti per attivare la riflessione, non solo nei “festeggiamenti” della legalità, ma nelle pratiche quotidiane: educazione, prevenzione, dialogo.
La Renault 4 rossa arriva in Calabria come simbolo della violenza politica che ha scosso la Repubblica, proprio in una regione – la Calabria – che conosce bene il peso della criminalità organizzata.
La scelta di far “parlare” quell’auto in un territorio dove la criminalità organizzata condiziona spesso la vita pubblica, aggiunge peso al simbolo. Ma proprio in questo contesto serve anche guardarsi dallo scivolare dalla retorica, sempre in agguato, dell’“antimafia di professione”.
La Mehari di Siani ha già superato questo rischio: non soltanto ricordare un giornalista coraggioso, ma far sì che la sua auto stimoli domande nei giovani: cosa significa informare, cosa significa rischiare, quali responsabilità ha un cronista. La staffetta dell’auto, la mostra, l’allestimento della “Sala della Mehari – Sala della Memoria” a San Giorgio a Cremano ne sono esempi concreti.
È quando il ricordo diventa rito sterile che l’oggetto diventa feticcio, la memoria viene investita dai selfie, e il problema vero – l’impegno quotidiano, il cambiamento strutturale – rimane in gran parte intatto. In Calabria, e non solo, questo rischio è reale: commemorazioni, manifestazioni, esposizioni che fanno scalpore ma che non sempre si traducono in trasformazione concreta. L’auto-simbolo deve rimanere un innesco, non un punto d’arrivo. (redazione@corrierecal.it)
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