‘Ndrangheta ad Aprilia, ultima fermata per il “Capo dei Capi” Forniti e la moglie “Mammasantissima”
Latitanti dal luglio del 2024, i due sono stati fermati a Casablanca. Patrizio Forniti era inserito nell’elenco dei latitanti più pericolosi

Si nascondeva a Casablanca, in Marocco, insieme alla moglie. È lì che gli uomini della Gendarmeria Reale del Marocco lo hanno beccato e arrestato. È finita così la latitanza di Patrizio Forniti, romano classe 1972, e Monica Montenero, classe ’72 di Albano Laziale. Una fuga che sembrava, almeno fino allo scorso venerdì, interminabile. Gli agenti anticrimine – tutti inseriti nel progetto I-CAN – nonché l’esperto per la sicurezza in servizio presso l’Ambasciata d’Italia a Rabat, in quota Direzione Centrale per i Servizi Antidroga, erano sulle sue tracce ormai da tempo. Anche perché Forniti non è un ricercato qualunque, ma era inserito nell’elenco dei “latitanti pericolosi”.
Forniti e la moglie “mammasantissima”
Per gli inquirenti Patrizio Forniti è «promotore e organizzatore dell’associazione criminale» da lui diretta in prima persona, dedita al traffico di sostanze stupefacenti, oltre a «consumare condotte di esercizio abusivo dell’attività finanziaria, di usura ed armi». Insieme ai suoi fidati soci, sempre secondo il quadro accusatorio, Forniti aveva il compito di «decidere strategie criminali per mantenere il controllo del territorio di Aprilia» sia relativamente alla microcriminalità, sia per contrastare l’ingresso sul territorio di competenza del sodalizio di gruppi criminali legati alla ‘ndrangheta come gli Alvaro e i Gallace o di matrice camorrista come i Casalesi. Non meno rilevante per gli inquirenti la figura di Monica Montenero, ribattezzata “La Mammasantissima” e compagna fedele di Forniti, in grado di mantenere alto il nome e il potere criminale anche quando il marito si trovava in carcere. I loro nomi rimbalzano in diverse inchieste, compresa l’ultima della Dda di Roma che riguarda, ancora, il territorio di Aprilia.
Il “capo dei capi”
È la Distrettuale antimafia di Roma a continuare a tenere altissima l’attenzione su due associazioni a delinquere dedite ad attività parallele: da una parte rapine, estorsioni ed usura, dall’altra il traffico di droga e lo spaccio. C’è però un comune denominatore, ed è il presunto “capo” di entrambe le articolazioni: Patrizio Forniti. E basta scorrere il curriculum di Patrizio Forniti per rendersi conto del suo elevato spessore criminale. È considerato, ad esempio, capo indiscusso dell’associazione di stampo mafioso attiva ad Aprilia e dell’associazione diretta al traffico di stupefacenti. Un potere tanto ampio e riconosciuto da essersi meritato il soprannome di “Capo dei Capi”. Alle spalle ha poi condanne con sentenze passate in giudicato per reati contro il patrimonio e per detenzione illecita di armi e munizioni (due volte) e per detenzione illegale di armi da sparo (una volta). Per gli inquirenti, inoltre, Patrizio Forniti sarebbe colui che tiene i contatti – a livello paritario – «con i capi della più importanti famiglie mafiose calabresi» e che non esita a prendere posizione al cospetto di rappresentanti anche di famiglie camorriste a difesa dei territori in mano alla propria associazione. Il “Capo dei Capi” del Sud Pontino da oltre vent’anni sarebbe attivo nel settore del traffico di stupefacenti, nonostante i periodi di detenzione carceraria e domiciliare sofferti. Un potere imposto sul territorio anche attraverso la forza del vincolo familiare e della potenza derivante da stretti legami con altre consorterie di tipo mafioso. Secondo quanto merso dalle indagini, Forniti avrebbe residenza in Lussemburgo, dove dispone di basi logistiche.
L’egemonia delle cosche reggine
Si tratta di un territorio “storicamente” in mano alle cosche della ‘ndrangheta calabrese e, in particolare, alle ‘ndrine di Sinopoli e Cosoleto del Reggino, nelle quali operano le famiglie Alvaro, Palamara, Cutrì e Forgione, in rapporti con cosche già presenti in quelle aree come i Gallace. È qui che la famiglia Gangemi, negli anni, ha avviato complesse e articolate attività economico-finanziarie che gli inquirenti «non possono ritenersi dissociate dagli interessi propri della criminalità organizzata», ipotizzando anche uno «stretto legame della medesima famiglia con la cosca dei Gallace». (g.curcio@corrierecal.it)
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