«Tridico se n’è ghiuto» viaggio breve di un aspirante presidente
L’ex presidente Inps torna al suo scranno europeo, lasciando perplessi elettori e alleati

Il condottiero pluristellato Tridico Pasquale, parlamentare d’Europa e professore d’economia a Roma Ter, messo a capo dell’armata progressista e finito con la testa nelle fauci di un avversario che i primi d’ottobre l’ha surclassato, se ne torna “bel bello” a Bruxelles (LEGGI LA NOTIZIA).
Di tutto si può dire del già presidente dell’Inps, tranne che nell’indecisione non sia coerente. Indeciso, quando s’è trattato di accettare la candidatura a Presidente di Regione. E indeciso fino all’ultimo giorno, se restare o andare, dopo che, parafrasando il proverbio dei pifferi di montagna, a lui che pensava di suonarle gliele hanno suonate di santa ragione.
E subito, ai tanti che non hanno inteso come sia stato possibile mandare un coerente indecisionista a combattere contro un leone, viene da scimmiottare l’espressione sarcastica con cui il segretario del Pci Togliatti salutò, a metà del XX secolo, l’abbandono del Pci di Elio Vittorini : “Tridico se n’è ghiuto, e soli ci ha lasciato!”
Al di là delle ragioni di Togliatti nella polemica con lo scrittore siciliano, nel caso in questione s’intende che la Calabria che l’ha votato, e ora si scopre sedotta e abbandonata, non si scioglierà in lacrime per un politico che in campagna elettorale le aveva promesso persino “un nuovo cielo”.
A parte la frase di Togliatti, quanto avviene evoca pure quella straordinaria figura manzoniana incline a non mettersi contro i potenti né a sobbarcarsi sfide ardue, pur di salvaguardare il proprio quieto vivere.
Perciò, soprattutto chi crede che “tengo famiglia” non giustifichi la fuga dalle pubbliche responsabilità, si guarda con disapprovazione la decisione dell’on. Tridico.
Ma lo guardano sgomenti, mentre lascia il campo di battaglia, anche le plebi orfane del reddito dignitoso, il ceto medio disossato e i concessionari d’automobili che, grazie all’annunciata perla del bollo gratis, annusavano l’impennata di vendite.
Lo guardano con occhi lucidi, lui che non dice, come San Paolo: “Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede”; né come Giulio Cesare: “Veni, vidi, vici”, ma sommessamente: “Sono venuto, ho perso come peggio non si può e ora, invece di organizzare l’opposizione e costruire l’alternativa, me la filo di gran carriera”.
Aveva giurato di sposare la Calabria con la politica ma, pur senza l’intervento degli sgherri manzoniani, quel matrimonio non si farà.
Aveva giurato amore profondo alla Calabria e amore sarà, spiega, però a distanza. E dai!
Lo scrutano sgomenti i suoi elettori e non trovano parole per dissuaderlo, anche perché sopraggiunge il dubbio che lo stesso racconto commosso del suo personale esodo altro non fosse che un artifizio retorico, a cui la politica di mestiere ricorre per catturare la benevolenza dei “cuori cantastorie” menzionati dal poeta Franco Costabile.
Così, e in conclusione di questa storia nata sbagliata, nessuno potrà lagnarsi se le genti di Calabria che si erano bevuto il calice delle sue parabole, si prendono la libertà di saltare ogni fair play. Per dirgli, più o meno: “basta con la presa in giro dell’indecisione eretta a sistema a beneficio soltanto del tuo curriculum vitae. Se devi andare, vai!”.
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