I fondi del Ponte che possiamo impiegare, l’inchiesta Stige di Gratteri, la Calabria povera come la Guyana francese e le ambulanze più lente d’Italia
Non spendere fondi per assicurare un tesoretto al Ponte che dovrebbe venire, non sarebbe una scelta ragionevole. Meglio spenderli subito per strade, autostrade e ferrovie

Trasecolo seguendo il Tg1 delle 13,30 del 26 novembre ascoltando che è stato ammesso un emendamento alla Manovra su denari previsti per il Ponte sullo Stretto da impiegare per spese più urgenti a favore di “Sicilia e Sardegna”. Qualche agenzia ha fatto confusione e si sa che sbagliare è umano (divertente il recente sfondone segnalato dal Secolo missino di un medico cosentino che al proprio paziente ha prescritto una “valutazione fisioterapica per sedia elettrica” riferendosi ad una più normale carrozzella). Meglio tornare all’ammesso emendamento, a mio parere giusto e necessario. Asteniamoci dal sì e no al Ponte con Ciucci che in Parlamento annuncia che sarà pronto nel 2033 e i manifestanti che oggi a Messina tornano a dire che non lo vogliamo.
Cerco di esprimere un ragionamento molto semplice. Gli ingenti fondi previsti per il Ponte, oltre 13 miliardi e mezzo al momento, non saranno utilizzati. Quel pacchetto finanziario ha 4,6 miliardi che vengono dal Fondi di sviluppo e coesione della Ragioneria dello Stato e un miliardo e 600 milioni presi a Sicilia e Calabria con il consenso dei rispettivi governatori (per esempio in Campania il Governo ha fatto lo stesso per Bagnoli ma ancora sta gridando De Luca).
Considerato lo stallo, i senatori del Pd, il calabrese Nicola Irto e il siciliano Antonio Nicita, hanno presentato un emendamento alla Manovra in cui si chiede di ridare i denari pubblici del Fondo coesione alle regioni Calabria e Sicilia secondo quello che prevedeva l’attuazione della programmazione 2021-2027 che reclama interventi “per il rafforzamento della mobilità stradale, marittima e ferroviaria e completamento di reti autostradali” e qui già potremmo fermarci visti i bisogni atavici delle due regioni per le infrastrutture; ma è doveroso aggiungere che sono previsti impieghi anche per “edilizia sanitaria e scolastica, sostegno delle imprese, riconversione ecologica e riqualificazione dei lavoratori”.
Nel grande taglio di emendamenti alla Manovra, quello presentato da Irto e Nicita è stato considerato “ammissibile”. Mi sembra una buona opportunità da non trascurare e mi auguro che i parlamentari calabresi al netto delle appartenenze ne considerino il giusto utilizzo.
Sono risorse considerevoli e possono essere bene impiegate a farci vivere meglio. Non spendere fondi per assicurare un tesoretto al Ponte che dovrebbe venire, non sarebbe una scelta ragionevole. Meglio spenderli subito per strade, autostrade e ferrovie.
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Apprezzo che il deputato Costa abbia chiesto conto sulle ingiuste detenzioni italiane del 2025 e merita riflessione il fatto che i distretti di Reggio Calabria e Catanzaro siano in testa alla non onorevole classifica rispettivamente con 77 e 126 indennizzi per risarcimenti milionari. Apprezzo meno che il Foglio per motivi referendari titoli sull’indagine Stige di Gratteri “inchiesta flop 100 assolti su 169 arresti”. Va bene il monito sugli innocenti ma cerchiamo di fare attenzione sull’impianto accusatorio complessivo. A riguardare carte e procedimenti va ricordato che nell’abbreviato la Cassazione ha anche confermato la sentenza di condanna nei confronti dell’ex sindaco di Cirò Marina, Roberto Siciliani, per il quale sono stati riconosciuti il reato di concorso esterno in associazione mafiosa e la condanna a 8 anni di reclusione. Parliamo di un condannato che ha guidato il comune per 10 anni, così come è stata confermata la condanna di 13 anni di reclusione per Giuseppe Berardi ex assessore e vicesindaco di Cirò Marina. Potrei proseguire con l’elenco dei diversi colletti bianchi che operavano nell’economia del Crotonese. Che le ingiuste detenzioni (da evitare) non oscurino i condannati in maniera definitiva.
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E poi la Giustizia dimenticata. Dal nostro Corriere ho appreso che al Tribunale di Castrovillari dopo 13 anni si è arrivati ad una sentenza di primo grado che ha assolto tutti i 14 imputati accusati di disastro ferroviario colposo. Era il lontano 14 novembre 2012 quando a Rossano un treno regionale attraversava un passaggio a livello regolarmente autorizzato e andava a sbriciolare l’auto di sei operai rumeni. Nessuna giustizia per quei poveri lavoratori. “Amar’a chini mora” si dice in Calabria. La vicenda fa il paio con quella più recente dell’ottobre scorso quando 4 braccianti asiatici tornavano a Corigliano dopo aver raccolto frutta in Basilicata ad un euro l’ora e sono morti andando a sbattere contro un camion. Sei loro compagni sono rimasti feriti. Di quella inchiesta non sappiamo nulla. Dovranno passare forse altre 13 anni per sentirci dire: “Tutti assolti nessun colpevole”?
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Ieri è stata la Giornata della povertà. Per l’ennesima volta leggo che la nostra Calabria è al terzo posto nelle regioni dell’Unione europea per rischio povertà dopo la Guyana francese e la città di Melilla. Il primo è un dipartimento d’oltremare francese conosciuto ai più per la terribile Cayenna carceraria resa celebre dal libro e dei film su Papillon. Duecentomila abitanti ancora alle prese con malaria e febbre gialla, un centro astronautico voluto da De Gaulle ed economia di sussistenza sostenuta dai fondi europei. Melilla è invece un enclave spagnola in Marocco, sorta di porto franco dove si affollano migranti che cercano approdo all’Europa, sono pochi chilometri quadrati abitati da 83.000 residenti. Ha la particolarità di avere in piedi ancora una statua del dittatore Francisco Franco. Confesso la mia vertigine culturale a saper di far parte di questo insolito triangolo ideale che ha i suoi vertici tra Sudamerica e Nord Africa e che si congiunge alla nostra terra. Non ho vergogna di tanta presunta povertà e mi sento affratellato agli europei della Guyana e della città di Melilla. A vedere la civiltà dei consumi calabresi lo scenario sembra differente. Oppure qualcosa di percepito non funziona, per essere l’ultima ruota del carro. Non mi sfugge che la volitiva neoassessora al ramo Straface ha annunciato un investimento di circa 80 milioni a favore della povertà. Leggo che nel provvedimento è previsto un Osservatorio regionale della povertà che forse ci aiuterà a comprendere perché siamo simili alla Guyana e alla città di Melilla. L’uomo della strada si chiederà intanto quanti milioni destineremo ai calabresi con pochi euro e che hanno difficoltà a mettere insieme il pranzo con la cena.
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A proposito di classifiche al nostro Corriere non è sfuggito il rapporto Agenas che ha segnalato che per i soccorsi in ambulanza le Asl calabresi sono le ultime in Italia con una media di 30 minuti di attesa per essere soccorsi e avere a volte salva la vita. Le migliori d’Italia riescono in 12 ma il target nazionale segna 18. In Calabria a volte l’ambulanza arriva dopo tre ore di attesa come si registrò nel drammatico caso di Serafino Congiu a San Giovanni in fiore morto d’infarto nello scorso gennaio. Che ci sia bisogno di una migliore organizzazione sanitaria è sotto gli occhi di tutti.
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Pillola finale dedicata alla scomparsa di Ornella Vanoni. Segnalo la migliore aneddotica calabrese scritta da Pino Di Donna sul suo profilo Facebook che da par suo ha rievocato l’inaugurazione di un teatro cosentino in era manciniana. Io mi permetto invece di ricordare che nel primo disco della Ornella nel 1958, tecnicamente un Ep, si ascolta il “Canto di carcerati calabresi”. E’ una delle prime canzoni della mala che lanciarono la Vanoni insieme a una ballata in milanese di Dario Fo e Fiorenzo Carpi e ballate di Brecht in tedesco e una canzone francese, come è noto tutto concepito dal suo pigmalione Strehler. Il calabrese di Ornella è improbabile ma l’ispirazione dolente. Una chicca per appassionati che trovate su Ebay a venti euro. Uno strepitoso regalo per un fan della Vanoni. Anche per quelli appassionati di canti di malavita calabrese. (redazione@corrierecal.it)
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