Dalla Sila al Paradiso: l’eredità nascosta che unisce Gioacchino da Fiore e Dante
Viaggio nelle radici spirituali e simboliche che collegano l’abate calabrese al Sommo Poeta

Che cosa lega Gioacchino da Fiore, Dante Alighieri, la Sila e i Cavalieri templari? C’è un rapporto storico, un nesso dimostrabile, oppure siamo in un territorio di ipotesi, suggestioni, intuizioni culturali? E se Gioacchino e il Sommo Poeta, come ha sostenuto René Guénon nel suo Esoterismo di Dante, fossero figli di una stessa “Tradizione” sapienziale, di un patrimonio simbolico comune trasmesso attraverso ordini cavallereschi, movimenti spirituali, confraternite come i Fedeli d’Amore?
Un aspetto è certo: Gioacchino da Fiore è figura documentata al centro della cristianità medievale. Nato a Celico intorno al 1135, dopo un periodo alla corte normanna compie un pellegrinaggio in Terra Santa. Le fonti biografiche ricordano una crisi spirituale e una conversione a Gerusalemme; al ritorno, verso il 1159, sceglie la vita ascetica, poi entra fra i cistercensi, approda a Corazzo e infine fonda la comunità florense in Sila. È un monaco che viaggia, incontra vertici del potere politico e parla con autorevolezza ai re. Il Venerdì Santo del 1196, a Palermo, la regina Costanza d’Altavilla lo chiama in Cappella Palatina per confessarsi. L’episodio è noto: l’abate le chiede di scendere dal trono e di inginocchiarsi, «perché – avverte il religioso – io ora tengo il posto di Cristo e tu quello di Maria Maddalena penitente». È un accadimento che mostra la statura spirituale riconosciuta a Gioacchino nel Regno di Sicilia.
Il legame tra Gioacchino e Dante poggia su un dato acquisito. Nel XII canto del Paradiso, Dante lo colloca tra i beati e lo definisce «di spirito profetico dotato». Prima della Divina Commedia, l’abate calabrese aveva composto il De Gloria Paradisi, noto anche come Visio admirandae historiae, un testo breve, tramandato da pochi manoscritti, che descrive l’aldilà secondo la scansione Inferno, Purgatorio e Paradiso, anticipando di circa un secolo la grande architettura dell’Alighieri. Nel poema gioachimita compaiono il fiume di fuoco e zolfo, il ponte strettissimo su cui passano le anime e le «schiere dei beati tripartite per gradi»: motivi che poi Dante porterà alla massima potenza poetica. Però non esiste un atto in cui il fiorentino dichiari di aver mutuato la rappresentazione di Gioacchino. Tuttavia, il materiale storico-teologico indica che il monaco calabrese dà alla cultura occidentale una visione strutturata dell’aldilà, con immagini e categorie già circolanti prima di entrare nella Commedia. Nel primo quarto del Novecento compare Guénon. Nel 1925, in L’Esoterismo di Dante, il pensatore francese sostiene che l’opera dantesca custodisce una dottrina iniziatica, legata a una “Tradizione” sovraindividuale. In questa prospettiva, Dante appare vicino ai Fedeli d’Amore, confraternita interpretata da una lunga linea di studiosi come cerchia iniziatica con possibili contatti templari e affinità con correnti mistiche cristiane, ebraiche e islamiche. Se si accetta la ricostruzione di Guénon, la domanda nasce spontanea: con la sua teologia delle tre età e le sue figure profetiche, Gioacchino apparteneva alla stessa corrente spirituale ed esoterica, letta poi da Dante attraverso il filtro poetico e da ambienti cavallereschi attraverso simboli e rituali? Per questa via, appare meno forzata anche l’ipotesi di un rapporto fra templari e universo gioachimita. La presenza templare in Calabria è sicura: fonti del XIII secolo attestano beni, vigne, case e tenute dell’Ordine in alcune aree; per esempio, Mileto, Seminara, Squillace e Santa Severina. Gli atti dei processi contro i templari del Regno di Sicilia, nel 1310, registrano nomi riferibili alla Calabria, con trasferimenti e detenzioni che toccano Cosenza e altri centri. La Calabria rientra, dunque, nelle mappe dei templari. Per San Giovanni in Fiore, però, i documenti tacciono: non vi sono atti di donazione, inventari di beni o registri che indichino l’abbazia florense come casa templare o luogo di transito.
Eppure, l’orbita è quella. L’abbazia di Corazzo, dove Gioacchino vive e matura le sue intuizioni prima di salire in Sila, si trova nella fascia in cui i templari sono attestati. Fonti moderne riferiscono che a Corazzo si veneravano reliquie provenienti dalla Terra Santa, con la possibilità che cavalieri e pellegrini le avessero portate nel monastero. L’ipotesi appare verosimile sul piano geografico e cronologico, anche se mancano documenti specifici. Gli stessi rievocatori storici che oggi animano eventi medieval-fantasy in Calabria ammettono, in testi pubblici, che non esiste una correlazione provata tra templari e Gioacchino e che il nesso nasce da una scelta culturale e narrativa. Nel contesto rileva la suggestione Cerenzia-Acherontia-Dante. Cerenzia vecchia, identificata con l’antica Acerenthia o Acheronthia, sorge nel territorio attraversato dal fiume Lese, indicato da alcune fonti come erede del nome e del mito dell’Acheronte. Alcuni autori, tra cui lo storico cosentino Coriolano Martirano nel romanzo Il luogo delle anime, hanno proposto l’idea di un Dante ospite dell’abbazia locale, ispirato da gole e burroni per le immagini del traghettamento delle anime, del fiume infernale e della «selva oscura». L’ipotesi è suggestiva, ha un séguito nella divulgazione e nella promozione turistica, però non trova conferma in fonti d’epoca. Nessuna testimonianza coeva colloca Dante in Calabria, né a Cerenzia né in Sila. La suggestione rimane con il suo peso simbolico, ma il confine tra romanzo e storia va mantenuto, se non si vuole scadere nel folclore. I collegamenti fra Gioacchino, Dante, templari e Cerenzia-Acheronte hanno trovato una forma scenica potente nell’estate 2025 a San Giovanni in Fiore, con la prima edizione di Le Terre di Alis. L’evento, ideato da Andrea Panetta e Yasmeen Safarini e ispirato all’omonimo romanzo fantasy, ha trasformato il centro storico e l’Abbazia florense in un teatro a cielo aperto. Cavalieri, elfi, templari, bardi, “non morti”, cacce al tesoro tra vicoli e chiese, gruppi di rievocazione e Larp (Live Action Role-Playing) da tutta Italia misero in scena una Sila trasfigurata, nella quale il Liber Figurarum di Gioacchino diventava codice magico, il templare interpretava il custode di un “Codice della Nova Etade” e i partecipanti entravano in un racconto di storia documentata, immagini profetiche e fantasia collettiva. Fra i protagonisti di quell’evento culturale c’era pure la Compagnia della Sacra Cerca, che precisò con chiarezza la mancanza di un legame storico assodato tra templari e Gioacchino. La finzione scenica servì però a evocare il pensiero dell’abate, a mantenerlo vivente nel gioco collettivo e a trasformarlo in strumento di conoscenza del territorio. A questo punto, la domanda iniziale può assumere una forma più ampia. E se Gioacchino e Dante, come suggeriva Guénon, avessero fatto parte di una stessa tradizione sapienziale passata sotto la superficie delle cronache, nelle scuole teologiche, nelle confraternite poetiche, negli ordini cavallereschi, e poi riaffiorata in un altopiano del Sud, in un poema in volgare, in un libro di figure, in una setta di Fedeli d’Amore descritta dalla storiografia esoterica? Nel suo lessico Guénon parla di “Tradizione” con la T maiuscola, origine sovraumana che si manifesta in dottrine, riti e simboli e vede in Dante un autore che nella Commedia trasmette contenuti iniziatici sotto il velo della narrazione cristiana. L’ipotesi che a questa corrente appartenga anche l’abate Gioacchino, con la sua teologia storica e le sue visioni dell’aldilà, resta aperta ma necessiterebbe di un lavoro di ricerca sistematico.
Sul piano storico, il materiale non manca: la presenza templare in Calabria è chiara; il pellegrinaggio di Gioacchino in Terra Santa è attestato; la confessione di Costanza a Palermo è documentata; il De Gloria Paradisi anticipa in modo sorprendente la tripartizione dell’aldilà dantesco; il rapporto tra Dante e i Fedeli d’Amore continua a dividere la comunità scientifica.
Sul piano culturale e del marketing del territorio, queste domande costituiscono un patrimonio prezioso. Gioacchino da Fiore è una sorgente spirituale e, in potenza, un brand identitario per la Calabria interna, se valorizzato senza involgarimenti. Eventi come Le Terre di Alis, percorsi letterari su Dante e Cerenzia e progetti dedicati al Liber Figurarum potrebbero alimentare iniziative turistiche, educative e artistiche radicate nella storia e aperte all’immaginazione. Il punto è questo: la Calabria, e in particolare la Sila, dispone di risorse immateriali enormi – figure come Gioacchino, tradizioni profetiche e monastiche, legami con la grande letteratura europea – e spesso non costruisce su queste basi un racconto forte e penetrante. La regione non dovrebbe farsi trascinare dalla corrente del cosiddetto “globalismo capitalistico”, che appiattisce identità e luoghi. Né dovrebbe affidarsi a modelli standard di sviluppo basati sul mero consumo. Ricostruire con pazienza il possibile asse Gioacchino-Dante-Templari-Sila, distinguendo i fatti dalle leggende, aiuterebbe a rafforzare la ricerca e, al tempo stesso, a proporre una visione diversa di sviluppo, fondata sulla memoria, sulla complessità simbolica e sulla capacità di usare la storia come fondamento del futuro.
(Foto in copertina: Ministero della Cultura)
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