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infiltrazione sistemica

‘Ndrangheta leader nell’infiltrazione economica, il «prestigio criminale» e il potere oltre la Calabria

Il Centro-Nord terra di riciclaggio con oltre l’80% dei capitali illeciti. Nel Rapporto Svimez l’allarme: «Occorre un coordinamento delle forze investigative»

Pubblicato il: 03/12/2025 – 7:00
di Mariateresa Ripolo
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‘Ndrangheta leader nell’infiltrazione economica, il «prestigio criminale» e il potere oltre la Calabria

ROMA Una presenza che «rappresenta un fattore di distorsione strutturale del sistema economico nazionale». La criminalità organizzata italiana, con la ‘ndrangheta in testa, insieme a Cosa nostra, Camorra e Sacra corona unita, si rende così protagonista di un pericolo che si manifesta attraverso «il controllo del territorio, la gestione degli appalti pubblici e una presenza capillare nel tessuto sociale locale». Una capacità di infiltrazione capillare e sistematica non solo delle regioni del Sud, in cui storicamente è nata, ma anche e soprattutto in quelle Settentrionali in cui si è radicata. Una tendenza che emerge chiaramente dall’analisi dei dati del Rapporto Svimez 2025, che fa riferimento alle recenti Relazioni della Direzione Investigativa Antimafia, che delineano una geografia criminale in rapida evoluzione. Il rapporto si avvale dei dati raccolti grazie alla collaborazione con la Guardia di Finanza, che tracciano una analisi sui reati economici emersi dalle denunce e dagli accertamenti condotti, con l’obiettivo di ricostruire l’evoluzione e la distribuzione territoriale del peso economico delle mafie nel periodo 2010-2024.

Il Centro-Nord terra di riciclaggio

Dati che evidenziano come le mafie abbiano «consolidato la capacità di reinvestire capitali illeciti nelle aree più sviluppate». Tra il 2010 e il 2024 l’importo accertato dalla Finanza delle somme di denaro riciclate è di 61,4 miliardi di euro: 29,8 miliardi al Nord, al Centro 20,3 miliardi, 11,3 miliardi nel Mezzogiorno. Oltre l’80% di questa enorme mole di denaro è stata dunque riciclata nelle regioni del Centro-Nord, soprattutto in Lazio, Toscana, Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto e Piemonte. Nello stesso periodo, il Nord prevale anche per numero di denunce per questo reato “sentinella” delle infiltrazioni nell’economia legale: 14.375, a fronte di 10.307 e 11.847 denunce rispettivamente nelle regioni centrali e del Mezzogiorno. 
Sempre nello stesso periodo sono stati sequestrati beni riconducibili alla criminalità organizzata per un valore complessivo di circa 90 miliardi di euro. A differenza di quanto osservato per il riciclaggio accertato, il valore più elevato si registra nel Mezzogiorno, con 46,4 miliardi di euro, pari a circa la metà del totale nazionale, seguito dal Nord con 25,3 miliardi e dal Centro con 18,3 miliardi. La distribuzione territoriale dei sequestri mostra, al di là delle oscillazioni annuali, una progressiva convergenza tra Mezzogiorno e resto del Paese.
«Ciò conferma – si legge nel Rapporto Svimez – come, anche sul fronte dei sequestri, le mafie abbiano consolidato la capacità di reinvestire capitali illeciti nelle aree più sviluppate, indirizzandoli verso operazioni finanziarie, acquisti immobiliari, partecipazioni in piccole e medie imprese manifatturiere e agricole, e attività commerciali. Si tratta di investimenti che consentono di occultare l’origine criminale dei capitali e di radicare progressivamente le reti economiche mafiose anche nei territori a maggiore densità produttiva e finanziaria. Nel Mezzogiorno, invece, la presenza mafiosa continua a manifestarsi soprattutto nel controllo del territorio. L’usura resta il reato più indicativo: 2.739 denunce al Sud, a fronte di 1.175 nel Centro e 1.401 al Nord».

La ‘ndrangheta e la sua affermazione criminale

La ‘ndrangheta – viene evidenziato nel Rapporto – è oggi considerata la più potente e con le maggiori ramificazioni non solo nel nostro Paese ma anche all’estero. Nella Relazione della Dia si sottolinea come il suo prestigio sia forte e riconosciuto dal mondo imprenditoriale: «In contesti socio‐economici caratterizzati da crisi, la ‘ndrangheta ha saputo intercettare, nel tempo, le misure di sostegno economico‐finanziario varate da istituzioni europee e nazionali, diversificando i propri investimenti secondo una logica di massimizzazione dei profitti, in particolare nei settori maggiormente vulnerabili. Il modello operativo, ormai collaudato, prevede che l’organizzazione si proponga in soccorso di imprenditori in crisi di liquidità, offrendo forme di sostegno finanziario parallele e prospettando la salvaguardia della continuità aziendale, con l’obiettivo ultimo di subentrare, negli asset proprietari e nella governance, in un duplice processo che consente al contempo il riciclo delle ingenti disponibilità illecite e l’impadronirsi di ampie fette di mercato, inquinando l’economia legale. Le numerose inchieste giudiziarie in tal senso hanno dimostrato che non sempre gli imprenditori che cadono nella rete della ‘ndrangheta sono vittime inconsapevoli, talvolta alcuni di questi operatori economici in difficoltà, pur essendo in qualche modo consci della presenza della criminalità mafiosa, scelgono deliberatamente di non riconoscerla o di ignorarla».
Una affermazione criminale che si fonda su diversi fattori: innanzitutto «sui vincoli tradizionalistici e familiari, che rafforzano la struttura fin dalla base. I legami di sangue, infatti, rappresentano una caratteristica endemica che ha permesso alle cosche di preservarsi in misura superiore rispetto ad altre matrici mafiose, riducendo l’esposizione al rischio del pentitismo». 
E stando al rapporto Svimez, i numeri del “potere” della ‘ndrangheta nel suo territorio sono evidenti: «oggi questa mafia ha legami anche in territori che storicamente erano base di altre potenti mafie». Nel 2024 sono stati emanati 138 provvedimenti interdittivi antimafia da prefetture al di fuori della Calabria (alcuni dei quali in aree d’origine di altre matrici criminali quali Sicilia, Puglia, Campania, Lazio e Basilicata). «Tali misure testimoniano la marcata propensione delle cosche a infiltrarsi e a condizionare, in maniera preponderante, i settori agroalimentare, la produzione e il commercio all’ingrosso e al dettaglio di prodotti alimentari, l’edilizia, il turismo e la ristorazione, nonché il settore estrattivo e dei trasporti nelle Province calabresi; mentre, in ambito extra‐regionale, l’intervento si concentra nei settori agricolo, turistico‐ricettivo, della raccolta dei rifiuti, delle costruzioni edili, del trasporto merci, del commercio al dettaglio, della farmaceutica, della somministrazione di alimenti e bevande e del noleggio di autovetture». Nel rapporto si evidenzia inoltre come in uno scenario di elevato controllo del territorio, emerge anche l’influenza nella “politica” della ‘ndrangheta: «Come hanno evidenziato diverse inchieste sullo scambio elettorale politico-mafioso, nelle quali è emerso come per la ‘ndrangheta l’influenza politica sia uno strumento in grado di garantire utilità a prescindere dai soggetti eletti. Nel 2024 sono stati emanati tre provvedimenti di scioglimento di Consigli comunali – relativi a Tropea, Cerva e Stefanaconi, oltre all’affidamento della gestione dell’Azienda sanitaria di Vibo Valentia 1 a una commissione straordinaria». 

L’allarme

Un quadro allarmante, e per questo «occorre un coordinamento delle forze investigative più ampio, quanto meno a livello di conoscenze e dati raccolti». Il procuratore nazionale antimafia, Giovanni Melillo, – le cui parole sono riprese nel Rapporto – descrive la trasformazione in atto: «La sfida che immediatamente si pone innanzi a noi è di trasformare le forme più avanzate di cooperazione giudiziaria in stabili strutture di condivisione informativa e di concertazione operativa». Melillo evidenzia la portata globale: «La ‘ndrangheta è un’organizzazione criminale i cui fini che sono complessi e ambiziosi. La presenza di mafiosi arrestati a Rio de Janeiro lo rende evidente: la ‘ndrangheta gioca un ruolo cruciale in dinamiche criminali che fino a poco tempo fa consideravamo quasi esotiche». Per questo, è urgente aggiornare le politiche di contrasto, massimizzando la vigilanza sugli appalti pubblici e sui finanziamenti legati al Pnrr, dove «i controlli antimafia rappresentano una fase cruciale del sistema istituzionale per proteggere il tessuto socio-economico». Come ribadito dalla Dia, occorre «superare l’idea che la criminalità organizzata rilevi solo in termini di ordine pubblico o sia confinata entro ristretti limiti nazionali; è un’idea questa che si ripercuote negativamente sull’efficacia delle misure di contrasto».

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