Skip to main content

Ultimo aggiornamento alle 19:25
Corriere della Calabria - Home

I nostri canali


Si legge in: 5 minuti
Cambia colore:
 

Rinascita-Scott

‘Ndrangheta, la teoria dei “crimini delocalizzati” e l’ascesa di Luigi Mancuso «il più giovane capocrimine»

La Dda di Catanzaro preme sul ruolo del “capobastone” di Limbadi nelle centinaia di pagine di memoria depositata in Appello

Pubblicato il: 09/12/2025 – 19:16
di Giorgio Curcio
00:00
00:00
Ascolta la versione audio dell'articolo
‘Ndrangheta, la teoria dei “crimini delocalizzati” e l’ascesa di Luigi Mancuso «il più giovane capocrimine»

LAMEZIA TERME L’appartenenza ad un sistema criminale più ampio in uno scenario di «federazione di cosche». Così la sentenza “Tirreno” restituiva la dimensione “ultravibonese” di Luigi Mancuso nell’unico processo in cui il presunto boss ha rimediato una condanna definitiva per associazione mafiosa. Nonostante le conoscenze ancora limitate rispetto ad oggi, la sentenza si inquadrava in una prospettiva investigativa reggina, e delineava un Luigi Mancuso in grado di «interfacciarsi ad un livello più alto con i Piromalli, con i Pesce» ovvero soggetti al suo pari su un piano regionale. C’è un però che la Dda di Catanzaro sottolinea: la sentenza “Tirreno” non dice che cosa rappresentava Luigi Mancuso con lo sguardo rivolto verso il Vibonese. Tema, invece, affrontato nel processo “Genesi” dove l’approccio degli inquirenti converge nei termini di una «organizzazione unitaria» ma, in relazione ai Mancuso, il processo si sarebbe comunque chiuso con un’assoluzione per via della sovrapposizione, a livello temporale, della contestazione associativa oggetto dell’operazione “Tirreno”.

L’Appello di “Rinascita-Scott”

Questo e tanto altro sottolineano i pm della Dda di Catanzaro nella corposa memoria depositata nell’Appello del processo “Rinascita-Scott” – firmata dai sostituti procuratore Luigi Maffia, Antonio De Bernardo e Annamaria Frustaci – la cui sentenza è attesa per il 18 dicembre. I pm, dunque, richiamano l’importanza delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, riascoltati nella fase dibattimentale del lungo processo in aula bunker. Perché «quelle dichiarazioni consentono di capire perché con la detenzione di Luigi Mancuso succedono determinate cose e perché quando esce dal carcere, proprio in virtù non del suo carisma e basta, ma del ruolo criminale che nessuno gli aveva mai disconosciuto, lo stesso riesce in maniera operativa e concreta a ricompattare tutta una serie di situazioni e a ristabilire l’ordine, che è uno degli obiettivi principali del segmento più recente della sua condotta associativa».



I “crimini delocalizzati”

Ma non è tutto. I collaboratori, infatti, hanno parlato più in generale dell’esistenza e della funzione dei “crimini delocalizzati” la cui evoluzione è legata anche alle vicende giudiziarie. Perché, scrivono i pm se ad un certo punto i Catanzaresi erano troppo pochi, «il crimine si sposta (“cammina”, dicono i collaboratori) a Crotone nelle mani della famiglia Vrenna-Bonaventura; quando poi i Crotonesi vengono colpiti da misure cautelari, da processi e da provvedimenti giudiziari, «il crimine si sposta a Cirò e quindi nelle mani dei Farao-Marincola», scrivono i pm. Poi arriva l’epoca delle indagini sui Farao-Marincola, quindi il crimine si sposta a Cutro con la concentrazione del potere in capo a Nicolino Grande Aracri e così via, fino a arrivare al progetto di Grande Aracri di creare, con il consenso di Polsi, una vera e propria provincia a sé stante, dotata di maggiore autonomia gestionale. Per i pm della Dda attraverso queste dichiarazioni «prende forma l’idea che tra l’articolazione territoriale e il Crimine di Polsi vi sia una struttura intermedia, appunto il crimine delocalizzato, e che questo fosse un assetto ordinario dell’organizzazione unitaria». E il potere centrale cui tutto fa riferimento viene definito la “mamma” che raccoglie i figli, San Luca. «Sono i Piromalli, sono i Bellocco, sono i Pesce sul versante Tirrenico, sono i De Stefano essenzialmente a Reggio Calabria e le loro articolazioni. Sono i Morabito, gli Aquino, i Commisso e, soprattutto, Pelle Antonio “Gambazza” nel cuore della ‘ndrangheta, la ionica reggina», scrivono ancora i pm nella lunga memoria.

Vrenna e Mantella e il ruolo di Luigi Mancuso

«(…) il crimine veramente è una persona responsabile del proprio locale e ha delle ‘ndrine distaccate nel proprio paese o fuori paese, ecco, questo, secondo il mio giudizio, questo è il crimine». Parlava così Giuseppe Vrenna, collaboratore di giustizia, in una udienza del febbraio del 2021 nel corso della quale la pm Frustaci chiede: Vibo Valentia aveva un crimine? «I fratelli, non ricordo se si chiamava uno Antonio e un altro Francesco, gli anziani, però io sapevo che dopo era subentrato Luigi Mancuso (…) conosco Luigi Mancuso e so che il crimine, già si parlava all’epoca, alla giovane età, che lui dirigeva da capobastone, che i fratelli gli avevano dato la mano», spiegava ancora il collaboratore. Un dato – sottolinea la Dda – convergente con le dichiarazioni di Andrea Mantella, il quale riferisce di aver appreso che Luigi Mancuso era «il più giovane capocrimine».

Scriva, Pino e la teoria del «reticolo a tre dimensioni»

Come si legge ancora nella memoria, anche Giuseppe Scriva, dopo aver cercato di spiegare il carattere unitario della ‘ndrangheta attraverso il paragone con la struttura dell’Arma dei Carabinieri, spiegando che «a Polsi c’era il Comando Generale», parla delle strutture intermedie riconosciute dal crimine di Polsi. E ovviamente attribuisce questo ruolo ai Mancuso con riferimento al Vibonese. Sarà invece Franco Pino, nel dibattimento di questo Processo, a parlare di «linee di comando che tracciano criminalmente tutta la Calabria» e che convergono verso un punto centrale, offrendo quindi una prospettiva completamente diversa per capire i meccanismi che regolano la ‘ndrangheta, «oltre la banale ottica monodimensionale orizzontale o verticale, ma che piuttosto disegna un reticolo – geografico e di potere criminale – a tre dimensioni e che converge tutto verso un centro», osservano i pm. Un reticolo al cui interno un punto di snodo fondamentale è rappresentato dall’asse Pesce-Piromalli-Mancuso, «posti dal collaboratore tutti sullo stesso livello di importanza criminale», sottolineano ancora. (g.curcio@corrierecal.it)

Il Corriere della Calabria è anche su WhatsApp. Basta cliccare qui per iscriverti al canale ed essere sempre aggiornato  

Argomenti
Categorie collegate

x

x