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Ubiquità mafiosa e radicamenti culturali, le dinamiche della ‘ndrangheta contemporanea

Clan globali, radici profonde e territori vulnerabili. «Si sottovaluta quanto siano importanti i legami personali e culturali con la Calabria»

Pubblicato il: 09/12/2025 – 6:40
di Fabio Benincasa
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Ubiquità mafiosa e radicamenti culturali, le dinamiche della ‘ndrangheta contemporanea

COSENZA Ubiqua, locale, globale, quando si parla di ‘ndrangheta l’attenzione è rivolta soprattutto alle questioni legate ai fatti di cronaca: le rotte e i sequestri nell’ambito delle azioni di contrasto del narcotraffico, la scoperta di bunker e depositi di armi, tralasciando colpevolmente i drammatici e inevitabili risvolti sul piano prettamente sociale. «La ‘ndrangheta è diventata un’organizzazione al passo coi tempi, un’organizzazione che è ubiqua nel senso che esiste in varie formule ovunque nel mondo. Vediamo – da una parte – i traffici di droga, dall’altra l’azione capillare sul territorio: abbiamo dei clan in Australia che si occupano di politica, altri clan in Germania che si occupano di smercio di cocaina», spiega al Corriere della Calabria Anna Sergi, scrittrice e docente all’Università di Bologna.

E’ una questione di cultura

Ci si interroga spesso sulla nascita della cultura ‘ndranghetista, sul momento esatto nel quale la criminalità calabrese ha deciso di operare un profondo cambiamento sostituendo le figure stereotipate dei “contadini” muniti di coppola e lupara, con quella dei malandrini in giacca e cravatta accompagnati da una valigia sempre piena di danari. Bisognerebbe interrogarsi e conoscere bene la storia per comprendere meglio la “colonizzazione” della ‘ndrangheta, come abbia fatto a diffondersi in altre regioni d’Italia. «Tutte queste dimensioni vanno tenute insieme, quello che le tiene unite è anche una manipolazione della cultura calabrese nella diaspora, bisogna studiare i traffici illeciti, ma anche e soprattutto la mobilità del crimine organizzato». Qual è l’errore che si commette? «Sottovalutare quanto importanti siano i legami personali e culturali con la terra, con la Calabria». D’altro canto, le mafie si distinguono da altre forme di criminalità collettiva per via della presenza di una forte e radicata ideologia, che muove il bisogno di conquistare consensi nella società non solo attraverso la violenza.

Le fragilità di San Luca

Esagerare sul potere della ‘ndrangheta fa sembrare più difficile sradicare questa organizzazione criminale. Il pensiero corre veloce a San Luca, segnato e piegato da infiltrazioni, scioglimenti e false ripartenze. Un territorio descritto come senza speranza, quasi destinato ad una guida esterna. Sul punto, il commento di Anna Sergi è lapidario. «Ne penso tutto il male possibile. San Luca è dei sanluchesi, quelli onesti, è un paese con molte complicate relazioni sociali che creano delle vulnerabilità e delle fragilità che molte delle nostre attività antimafia non fanno altro che esacerbare e amplificare. Viviamo a San Luca una criminalizzazione della fragilità amministrativa, culturale e sociale, ma parliamo di un paese comunque inserito in un territorio, quello aspromontano, che ha una serie di debolezze strutturali.
La criminalizzazione della fragilità che vediamo a San Luca impedisce la formazione di una classe politica locale che deve essere accompagnata», aggiunge Sergi. A San Luca, così come in altri comuni calabresi, pare necessario rintracciare il senso autentico della parola libertà, allontanando lo spettro della cultura dello scarto. «Non dobbiamo sciogliere i comuni e affidarne la gestione a chi viene da lontano, dobbiamo affiancare figure competenti che sappiano portare i sanluchesi a fare quello che è meglio per loro, questa è la base di ogni democrazia: l’empowerment, la capacità di creare dal basso una coscienza politica». (f.benincasa@corrierecal.it)

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