Natale, ritorno a casa in Calabria. Ma anche no
Mobilità diffusa, famiglie disgregate e la ricerca di luoghi dove vivere meglio hanno cambiato le nostre abitudini

È uscita una classifica dei luoghi più convenienti al mondo dove andare a vivere quando si va in pensione. Ne scriveva Concita De Gregorio su Repubblica, qualche giorno fa, citando un sito affidabile che mette in fila dati incontrovertibili: quante ore di sole, quanto costa una casa, la sanità, le tasse, l’insulina, il vino, l’olio d’oliva. Tutto misurabile, tutto comparabile. Eppure – scrive – quella graduatoria produce una certa tristezza. Perché qualcosa, nei conti, non torna. O meglio: non entra. Con mille euro al mese, dicono le statistiche, in Messico o in Thailandia puoi vivere benissimo. Villetta, fiori freschi ogni giorno, servizi efficienti. Ma poi c’è la distanza, la lingua, l’estraneità. C’è l’idea di invecchiare in un altrove dove nessuno conosce la tua storia, dove devi fare il calcolo del fuso orario per chiamare i nipoti. De Gregorio racconta di pensionati americani in Ecuador, protetti da cancelli elettrificati, sorvegliati giorno e notte, ben nutriti e profondamente soli. E si chiede, con una domanda che resta senza risposta: come si fa a essere felici senza gli affetti, senza un contesto che ti riconosca? Forse questa domanda pesa di più a Natale.
È il tempo dei ritorni. O almeno lo era. L’unico giorno dell’anno in cui i figli arrivavano da qualunque parte del mondo. Milano, Torino, Germania, Argentina. La casa si riempiva, anche solo per poche ore. Oggi è diverso. La generazione Erasmus si è accoppiata nel mondo: come fai a passare la vigilia dai genitori di lui in Olanda e il giorno di Natale da quelli di lei a Cosenza? Non si fa. La vita contemporanea è questa: mobile, frammentata, disgregata. E allora il futuro lo immaginiamo così: dove si pagano meno tasse, dove la sanità costa meno, dove il clima aiuta le ossa e l’umore. Tutto legittimo. Ma davvero vogliamo ridurre la vecchiaia a una strategia di ottimizzazione? Davvero la felicità, alla fine del tempo, è solo una questione di convenienza fiscale? Anche l’Italia, dice la classifica, è un buon posto dove ritirarsi: i borghi, il sistema sanitario, la residenza elettiva. Ed è vero. Ma qui il tema diventa politico. Perché l’Italia è ormai un Paese a maggioranza over 60. Questo dato, che dovrebbe orientare ogni manovra di bilancio, viene invece trattato come un problema laterale o, peggio, come un terreno di scontro: chi deve avere di più, i giovani o gli anziani? È una domanda sbagliata. Perché non c’è futuro senza giovani, ma non c’è tenuta sociale senza chi invecchia con dignità.
Le politiche pubbliche dovrebbero smettere di alimentare fratture generazionali e cominciare a investire in ciò che serve a entrambi: sanità territoriale, servizi di prossimità, mobilità, case accessibili, comunità vive. Mettere cose utili nelle manovre di bilancio, non slogan. Pensare l’invecchiamento non come un costo ma come una risorsa che tiene insieme i luoghi, soprattutto quelli che rischiano di svuotarsi definitivamente.
La Calabria è uno di questi luoghi. Il sole, le relazioni, le comunità. Anche i problemi, certo. Qui la vecchiaia può essere meno efficiente, forse, ma più riconosciuta. E a Natale, se va bene, qualcuno torna ancora. Però, per favore, quando poi ripartono non scriviamo le solite cose nostalgiche sui figli costretti ad andare via. La partenza dei giovani oggi è una scelta, un modo di vivere. Allo stesso modo i ritorni, dei calabresi, o i nuovi approdi, dei non calabresi, una scelta, uguale. Tutto si conta solo in termini di soldi? Non mi viene in mente niente di più povero della solitudine. E allora forse la vera convenienza è questa: restare, tornare, scegliere di abitare un luogo che non ti chiede di difenderti ma di appartenere. Insieme agli altri. Venite in Calabria. Non perché costa meno. Ma perché vale di più. (redazione@corrierecal.it)
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