Lotta alla ‘ndrangheta, Falvo racconta la “rinascita” di Vibo: «Ora nessun passo indietro»
Criminalità organizzata, scioglimenti e ambiente. Il bilancio del procuratore: «Negli ultimi 4 anni zero omicidi. Rinascita non è un flop»

VIBO VALENTIA Il percorso di Camillo Falvo a Vibo è iniziato nel 2019, pochi giorni prima di Rinascita Scott, la maxioperazione destinata a cambiare il volto della città. La ‘ndrangheta che prima ostentava potere tra estorsioni e violenza, che sparava per strada e incuteva timore, ora si nasconde. Non è sparita, ma è più silenziosa e consapevole che oggi non può più agire senza conseguenze. Un risultato dello straordinario lavoro da parte della Procura e delle forze dell’ordine, capaci di restituire fiducia a chi per decenni si è sentito abbandonato dallo Stato. Non è un caso che, negli anni in cui Camillo Falvo ha guidato la Procura vibonese, i dati legati alla criminalità organizzata siano crollati: «Questo è il quarto anno di fila senza omicidi» ribadisce in un’intervista al Corriere della Calabria, definendo «sicuramente positivo» il bilancio dell’ultimo anno. Non solo dal punto di vista della criminalità organizzata, ma anche dell’organizzazione interna: «Abbiamo continuato nell’attività di abbattimento dell’arretrato, adesso lavoriamo in tempo reale e questo è il frutto del lavoro che abbiamo portato avanti negli ultimi 5-6 anni. Speriamo di risolvere il problema del turnover, abbiamo proposto soluzioni alla politica come l’arrivo di qualche magistrato anziano o il mantenimento di quelli giovani che formiamo». Senza negare le difficoltà, il procuratore rivendica una Vibo profondamente diversa da quella di pochi anni fa.
Qualche giorno fa c’è stata la sentenza tanto attesa di Rinascita-Scott. Qualcuno lo ha definito “flop” per via di alcune assoluzioni, altri invece ne sottolineano l’impatto sociale che l’inchiesta ha avuto sul Vibonese. Lei a Vibo è arrivato proprio nel 2019 e ha vissuto il cambiamento della città: si può effettivamente parlare di “effetto Rinascita”?
«Dal punto di vista giudiziario non credo si possa parlare di flop. Quando si fanno molti arresti, anche per fatti meno gravi rispetto ad altri, è fisiologico che ci siano delle scarcerazioni, ma il risultato si valuta alla fine e io credo sia stato straordinario. È stata dimostrata la struttura della ‘ndrangheta vibonese e accertati gruppi criminali che prima di Rinascita non avevano mai avuto un riconoscimento giudiziario. Dal punto di vista sociale il risultato è stato, se possibile, ancora più significativo. Rinascita è stato l’ultimo atto che ho firmato insieme ai colleghi di Catanzaro prima di arrivare a Vibo: nell’anno precedente si erano registrati 18 tra omicidi e tentati omicidi, dopo ce ne sono stati solo due, che non hanno nulla a che fare con la criminalità organizzata. Anche le estorsioni sono diminuite drasticamente. Sono dati che testimoniano l’efficacia dell’operazione, ma il vero riscontro va chiesto ai cittadini: sono loro che possono dire se oggi a Vibo si vive meglio o peggio.
L’entusiasmo che ha accompagnato Rinascita Scott subito dopo l’esecuzione è stato il preludio a una fase di maggiore tranquillità. È chiaro che non si può pensare che tutte le persone arrestate restino in carcere per sempre, fatta eccezione per chi ha riportato condanne all’ergastolo per omicidio. Ma non si può nemmeno immaginare che la criminalità organizzata in una provincia come Vibo possa essere sconfitta solo dall’azione delle forze dell’ordine e della magistratura. Per questo abbiamo investito, oltre che nell’attività giudiziaria, nella crescita di una coscienza sociale, capace di isolare i soggetti inseriti nei contesti criminali e di spingere alla denuncia. L’augurio è che questa consapevolezza sia stata acquisita, perché altrimenti tutto il lavoro svolto rischia di essere vanificato».
In passato questi periodi di pace hanno coinciso anche con una sorta di pax mafiosa tra le varie cosche…
«Non è questo il caso, perché le cosche mafiose non c’erano. Rinascita Scott ha visto il coinvolgimento di tutti, o quasi tutti, i gruppi criminali che avevamo censito negli anni precedenti e la pace è quindi il frutto di un lavoro fatto bene. Negli anni abbiamo effettuato molti sequestri e ottenuto condanne per detenzione e porto abusivo di armi, quasi tutte con matricola abrasa, a dimostrazione della situazione che avevamo registrato in precedenza».
C’è poi il tema dei cosiddetti “colletti bianchi”, imprenditori e politici collusi o comunque contigui alla criminalità organizzata. Il Vibonese ha una lunga storia di scioglimenti per infiltrazione mafiosa. Oggi c’è una maggiore consapevolezza o è ancora alto il rischio di infiltrazioni?
«Dal 2012 sono stati celebrati più di venti maxiprocessi, portando a diversi scioglimenti. Credo che nessun’altra provincia abbia avuto più provvedimenti di questo genere. Ma non significa che lo scioglimento sia un bene, tutt’altro. Da anni sono convinto che la misura debba essere rivista sotto molti aspetti: deve essere resa più moderna e soprattutto più idonea a colpire dove c’è realmente da colpire, intervenendo sui soggetti responsabili dei condizionamenti. Spesso, invece, si rischia di colpire solo i vertici, lasciando all’interno quella parte più “malata”. Lo stesso discorso vale per le interdittive antimafia. Credo che gli amministratori locali e la politica in generale abbiano fatto tesoro dei rischi a cui sarebbero andati incontro se si fossero resi, come in passato è accaduto, responsabili di connivenze con la criminalità organizzata. Da questo punto di vista penso che oggi si possa dire che il Vibonese è meno a rischio di contaminazione. Il rischio esiste sempre, ovunque, in Calabria e nel Sud in generale, ma oggi c’è la consapevolezza che, se dovesse accadere, si interviene».
Parlando di vittime innocenti della ‘ndrangheta, a volte nei familiari ci sono momenti in cui prevale un senso di sfiducia nella giustizia. È successo quest’anno alla famiglia di Francesco Vangeli dopo la scarcerazione del presunto assassino, mentre altri come Martino Ceravolo sono ancora alla ricerca della verità..
«Ho parlato tante volte sia con Martino Ceravolo sia con Elsa Tavella, la mamma di Francesco Vangeli. Purtroppo, quando si fanno i processi, esiste sempre il rischio che qualcosa possa andare diversamente da come ci si aspetta. Dell’omicidio di cui mi sono occupato direttamente so quanto abbiamo lavorato insieme alla Dda e lo dico sempre al padre di Filippo Ceravolo che deve stare tranquillo, perché prima o poi la verità verrà a galla. Di questo sono certo. Nel caso della mamma di Vangeli, purtroppo, il lavoro era stato fatto. A mio avviso non era stato neanche fatto male, ma certe cose possono succedere. È l’altro risvolto della medaglia. Spesso, come dicevo prima, qualcuno parla di flop riferendosi a Rinascita Scott, ma troppo spesso ci si dimentica delle vittime, di chi ha subito reati e che ha diritto, più di tutti, ad avere giustizia. A Vibo c’erano molti omicidi che venivano considerati semplicemente “lupare bianche” e che erano rimasti irrisolti. Negli ultimi anni, invece, molti di questi omicidi hanno visto un’attività giudiziaria intensa, con una serie di contestazioni, rinvii a giudizio e anche numerose condanne. È vero che nei processi per omicidio non è sempre facile arrivare a una sentenza di condanna, ma credo che anche da questo punto di vista la Dda di Catanzaro abbia lavorato molto, stia lavorando ancora molto e abbia lavorato bene».
Oltre alla criminalità organizzata, un altro tema a cui lei ha dedicato molte attenzioni sono i reati ambientali in una provincia che ha un grande patrimonio naturalistico da tutelare..
«Quando sono arrivato alla Procura di Vibo mi sono reso conto che, oltre alla criminalità organizzata, c’era un altro settore sul quale bisognava investire molto su questo e credo che sia stato fatto un lavoro certosino. C’è stata un’impennata dei procedimenti, molti sequestri e tante criticità che, se non siamo riusciti a risolvere del tutto, ma abbiamo comunque inciso in maniera significativa. Resta un po’ di delusione per non essere riusciti a portare a termine l’intero lavoro, a causa di fattori imprevedibili e non governabili, come l’innalzamento delle temperature. Penso, ad esempio, alle due aree dove permangono forti criticità: la zona di Pizzo, al confine con Lamezia, e quella di Ricadi. L’innalzamento delle temperature ha determinato una situazione particolarmente critica. Stiamo cercando di capire come intervenire, ma sul resto del territorio ritengo che il lavoro svolto sia stato importante. Nei primi due anni avevamo migliaia e migliaia di segnalazioni all’anno, mentre l’anno scorso ne abbiamo registrate poco più di un centinaio. Questo dà la misura dell’attività che è stata fatta. L’inquinamento non è un problema che si risolve facilmente, ma credo che un risultato fondamentale sia stato raggiunto. Mi riferisco alla consapevolezza: far capire non solo ai pubblici amministratori, a chi ha competenze dirette nella prevenzione dell’inquinamento, ma anche ai cittadini, che l’ambiente va tutelato con continuità. Del mare non ci si può occupare solo dal 15 luglio al 15 agosto, quando il danno è già fatto, ma durante tutto l’anno. In questo percorso anche la Regione ha fatto la sua parte, con incontri, tavoli tecnici e una struttura organizzata che, a mio avviso, poche altre regioni hanno. La Calabria sta facendo molto per il contrasto all’inquinamento del mare e alle altre forme di inquinamento. Quindi penso che siamo sulla buona strada, pur sapendo che non è semplice risolvere problemi così complessi».
Dopo i profondi cambiamenti degli ultimi anni, quali sfide attendono Vibo e i vibonesi nel 2026 e oltre?
«Penso proprio a quello che è successo nei giorni scorsi, che dimostra il pericolo per il Vibonese. Non credo che succederà, ma c’è il rischio che si possa fare qualche passo indietro. In qualche intercettazione qualcuno, parlando di noi investigatori, ha detto: “tanto loro se ne andranno, noi restiamo sul territorio”. Noi abbiamo lavorato per evitare tutto questo ed è fondamentale che i cittadini capiscano quanto è importante denunciare e segnalare, non solo quando sono vittime ma anche quando sono testimoni di fatti di criminalità, per rimpossessarsi veramente di quegli spazi che avevamo liberato, senza chinare nuovamente la testa di fronte alla criminalità organizzata. Noi siamo ancora qua, le forze dell’ordine sono di primissimo livello e continueranno ad assicurare la sicurezza dei cittadini». (ma.ru.)
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