L’anno vecchio che verrà
Intanto sappiamo cosa ci portiamo nel 2026

Come sarà questo nuovo anno? Una domanda che spesso ci poniamo, rimanendo generalmente sempre aperti a un futuro migliore. Continuiamo imperterriti a chiamarlo anno nuovo ma in realtà forse dovremmo porci un’altra domanda alquanto inusuale e per alcuni versi provocatoria: l’anno vecchio che verrà avrà qualcosa di nuovo? Intanto sappiamo cosa ci portiamo nel 2026: le varie riforme che sicuramente faranno sentire i loro effetti assieme a un governo tra i più disastrosi della storia repubblicana. Nessuno aveva fatto peggio quanto ad attuare l’esatto contrario di quanto si sbandierava ai quattro venti nella campagna elettorale. Non vi è memoria di un governo repubblicano che ha avuto Ministri peggiori di quello attuale, che hanno dato sfogo alla loro incultura e incapacità. Ma veniamo alle riforme. L’ultima, quella che riguarda la Corte dei Conti, (ridotta da questa riforma a contare poco o niente) rappresenta per alcuni versi ancora una volta un attacco frontale alla Magistratura, evidenzia ancor meglio questa sorta di sfacciata intolleranza verso quei poteri dello Stato che osano frapporsi a un’azione governativa che non tollera, per ragioni politiche che hanno solide radici nel ventennio, alcuna ingerenza da parte di nessuno. La forza di questa azione governativa risiede su un solido elettorato che per la maggior parte di esso preferisce credere agli slogan, piuttosto che avere uno sguardo critico, magari facendosi aiutare da chi, come buona parte dei filosofi, contribuiscono a sollecitare il pensiero e l’azione. Karl Popper, ad esempio, nel suo volume “La società aperta e i suoi nemici”, provoca il lettore a porsi una delle domande fondamentali per ogni società che intende conservare il principio democratico di giustizia, ovvero: “chi controlla i controllori?”. Una società giusta non è una società perfetta, ma quella in cui tutto è reso il più trasparente possibile in modo tale che i cittadini possano avere contezza di ciò che accade, soprattutto in ordine alle pubbliche spese. Questa domanda è conseguente a un altro principio fondamentale, quello della responsabilità, tanto caro a un altro pensatore contemporaneo come Hans Jonas. L’esatto contrario del principio che fonda l’ultima riforma attuata da questo governo: la deresponsabilizzazione. Siamo certi che l’anno vecchio che verrà si porterà dietro questa sviscerata incompetenza e irresponsabilità, oltre a fame e distruzione a Gaza e in tanti Paesi sparsi nel mondo ammorbati dal dramma della guerra. L’anno vecchio che verrà almeno, a quanto sembra, porterà con sé l’antico anelito di guerra, citato anche in sede parlamentare dalla premier Meloni, leader indiscussa di questa destra neoliberale, filo atlantista, filo israeliana, filo americana, filo multinazionali: si vis pacem para bellum. Dal canto suo Papa Leone, nel messaggio per la Giornata nazionale della Pace che celebreremo domani 1° gennaio scrive: «Quando trattiamo la pace come un ideale lontano, finiamo per non considerare scandaloso che la si possa negare e che persino si faccia la guerra per raggiungere la pace. Sembrano mancare le idee giuste, le frasi soppesate, la capacità di dire che la pace è vicina. Se la pace non è una realtà sperimentata e da custodire e da coltivare, l’aggressività si diffonde nella vita domestica e in quella pubblica. Nel rapporto fra cittadini e governanti si arriva a considerare una colpa il fatto che non ci si prepari abbastanza alla guerra, a reagire agli attacchi, a rispondere alle violenze». Per tale motivo, sostiene sempre il Santo Padre, la vera pace, oltre che a essere disarmata dev’essere anche disarmante. Ogni anno ci offre l’opportunità di sperimentare ciò che è eternamente sempre nuovo: la capacità offerta a tutti di operare il bene. Questa è l’eterna novità di ogni anno che verrà, l’unica che ci consente di sperare che il nuovo sia migliore di quello passato. Buon anno di bene a tutti. (redazione@corrierecal.it)
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