COSENZA Anche chi, prima che la crisi esplodesse, non cercava lavoro, ora tenta disperatamente di trovare un’occupazione. Che non c’è. Un fenomeno inquadrato da due cifre, solo apparentemente in contrasto l’una con l’altra. Il tasso di attività cresce e la disoccupazione esplode. È questo il dato più preoccupante che emerge dal rapporto sull’economia calabrese nel 2011 e nel primo trimestre 2012 presentato nella sede cosentina di Confindustria. Il dossier, curato dalla docente di Economia dell’Unical, Rosanna Nisticò, fotografa una situazione complicatissima. «Siamo nel pieno cono d’ombra della crisi – ha spiegato l’economista –. La Calabria è una regione che entra ed esce con ritardo da queste congiunture perché poco esposta ai mercati internazionali e molto dipendente dai flussi di spesa pubblica». E adesso che la politica del rigore ha chiuso i cordoni della borsa, gli effetti del default si sentono. Il dato shock è l’aumento della disoccupazione: +50% rispetto al periodo gennaio-marzo 2012. Il dato complessivo sfiora il 20%, poco al di sotto del record storico, che risale al 1999. Davanti a cifre come queste, anche il classico aplomb confindustriale viene meno. Renato Pastore, presidente degli industriali cosentini, lo dice chiaro e tondo: «Bisogna attivare tutti i progetti attivabili, grandi e piccoli». Una richiesta al governatore Giuseppe Scopelliti, un po’ atterrito dai numeri presentati nel rapporto («che – ha ammesso – sono impietosi»).
La Calabria cresce meno delle altre regioni, tengono solo le esportazioni (che incidono in percentuale irrisoria sull’economia regionale) e le attività stagionali, mentre l’edilizia (che pesa per il 35% sul Pil della regione) è ferma. E chi sta peggio sono i giovani: «Qui – ha detto la Nisticò – la diseguaglianza intergenerazionale è sempre più alta rispetto al resto del Paese, anche se la tendenza è quella di un riequilibrio». Resta il fatto che il lavoro è (quasi) una chimera e quello che c’è è sempre meno sicuro. Precario e instabile. Una flessione inesorabile che tocca direttamente il cuore dei diritti e del futuro delle giovani generazioni. Che faticano sempre di più a trovare un posto di lavoro: il tasso di occupazione giovanile (dai 18 ai 29 anni) è in Calabria (25,2%) pari a metà di quello medio delle regioni del Nord (52%) e ai due terzi di quello italiano (41%). E la quota dei giovani che non studiano e non lavorano (Neet) è di dieci punti percentuali più elevata della media italiana.
È la solita, triste sequenza di maglie nere calabresi. Solo che queste arrivano nel bel mezzo della peggiore crisi di tutti i tempi. Cosa fare? La prof di Economia prova ad abbozzare una proposta: «Non possiamo aspettarci una ripresa trainata dalle esportazioni. Bisogna cercare di coniugare i bisogni sociali e l’economia. Riattivare gli investimenti nelle strutture per l’infanzia e per la formazione scolastica, nell’abbattimento delle barriere architettoniche, cercando di far ripartire il settore delle costruzioni, anche con piccoli interventi, non necessariamente con le grandi opere. L’edilizia ha grandi ricadute sui consumi. E, in più si deve puntare su ricerca e innovazione».
Scopelliti, nel suo ragionamento conclusivo non ha fornito ricette, ma qualche linea guida. Quasi all’opposto (tranne che sulla ricerca): «Non possiamo trascurare le esportazioni. E i piccoli interventi non può farli la Regione, spettano agli enti locali. Noi, invece, dobbiamo puntare sulle grandi opere di collegamento, come la Trasversale delle Serre, la Statale 106 e la Bagnara-Bovalino». Chissà come sarebbe finita se fosse stato un esame di economia.
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