Le troppe contraddizioni nelle parole di Nino "il Nano"
CATANZARO «L`ultima volta che ci siamo visti in carcere con Luciano, abbiamo avuto un diverbio. Credo abbia pensato di essere stato abbandonato. Non mi ha mai chiesto di fare attentati e non sapeva n…

CATANZARO «L`ultima volta che ci siamo visti in carcere con Luciano, abbiamo avuto un diverbio. Credo abbia pensato di essere stato abbandonato. Non mi ha mai chiesto di fare attentati e non sapeva nulla. L`unico responsabile degli attentati sono io».
Parla Nino Lo Giudice, il collaboratore di giustizia che si è autoaccusato della bomba esplosa il 3 gennaio 2010 davanti alla Procura generale di Reggio Calabria, dell`ordigno che il 26 agosto dello stesso anno ha distrutto l`ingresso dell`abitazione del pg Salvatore Di Landro e del bazooka indirizzato all`ex procuratore Giuseppe Pignatone e fatto ritrovare il 5 ottobre a poche centinaia di metri dal Cedir, sede della Direzione distrettuale antimafia della città dello Stretto.
Le sue dichiarazioni, rese martedì scorso durante l`udienza del processo alla cosca Lo Giudice, non possono che avvalorare il sospetto che sulla cosiddetta “strategia della tensione” ci siano ancora troppe ombre.
Tante sono, infatti, le incongruenze con cui dovrà fare i conti il Tribunale di Catanzaro che ha già condannato a sei anni di carcere il pentito Nino Lo Giudice a cui è stato concesso anche il beneficio degli arresti domiciliari.
Ma è lo stesso Tribunale di Catanzaro che dovrà giudicare Luciano Lo Giudice (il presunto imprenditore “mafioso” fratello del collaboratore), accusato di essere «l`istigatore e il beneficiario» delle bombe di via Cimino e al procuratore generale Di Landro, oltre che del lanciarazzi abbandonato volutamente vicino al palazzo di giustizia.
Come fa Luciano Lo Giudice a essere responsabile dell` “attacco allo Stato” se – come sostiene suo fratello – era all’oscuro della cosiddetta “strategia della tensione”?
A pesare sulla testa del principale indagato ci sono alcune frasi registrate in carcere alcuni mesi dopo la bomba del 3 gennaio. Luciano avrebbe, infatti, sollecitato il fratello a incominciare «a fare bordello, fai che tremino in qualche maniera, che vogliono, che mi porti al punto che me la canto?».
Un momento di rabbia o un preciso mandato ad “alzare il tiro” colpendo la magistratura reggina?
Il 24 giugno il collaboratore di giustizia ha precisato: «L`unico responsabile degli attentati sono io». Fin ad oggi, Nino Lo Giudice è stato giudicato attendibile. Ecco perché questa frase, pronunciata nel corso di un`udienza pubblica, potrebbe compromettere l`impianto accusatorio della Procura di Catanzaro, almeno per quanto riguarda la posizione di Luciano Lo Giudice. Se ciò non dovesse avvenire, le considerazioni sono due: o il pentito non è attendibile per cui lo Stato sta pagando il servizio di protezione a un soggetto che racconta la “sua” verità e non la verità, o lo Stato crede al collaboratore solo in alcune circostanze.
Una sorta di pentito a corrente alternata che, a questo punto, impone una terza riflessione: se Nino Lo Giudice è stato il “puparo” della strategia della tensione intesa come reazione alle indagini sul fratello Luciano, perché la prima e la seconda bomba non sono state piazzate al Cedir, ufficio del sostituto procuratore Beatrice Ronchi che stava coordinando l`inchiesta? Perché nei mesi precedenti e successivi all`ordigno esploso davanti alla Procura generale, non c`è nessuna intercettazione che dimostra un collegamento tra la cosca Lo Giudice e gli attentati? E infine: perché Nino Lo Giudice arrestato si pente e si autoaccusa delle bombe dando una versione diversa da quella di un`altro pentito della cosca, Consolato Villani? In uno dei momenti più delicati della storia di Reggio Calabria serviva un colpevole e la `ndrangheta l`ha consegnato?