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"Meta", polemiche sui verbali del pentito

REGGIO CALABRIA Al processo “Meta” è scontro aperto tra difesa e pubblica accusa. Pomo della discordia è la deposizione di Roberto Moio, il collaboratore di giustizia che sta testimoniando davanti al…

Pubblicato il: 19/10/2012 – 19:05
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"Meta", polemiche sui verbali del pentito

REGGIO CALABRIA Al processo “Meta” è scontro aperto tra difesa e pubblica accusa. Pomo della discordia è la deposizione di Roberto Moio, il collaboratore di giustizia che sta testimoniando davanti al Tribunale presieduto da Silvana Grasso. Una battaglia giocata sul filo delle procedure, quella combattuta venerdì in aula bunker, con le difese decise a ottenere l’annullamento della testimonianza del pentito un tempo legato alla cosca Tegano di Archi. Secondo gli avvocati Marcello Manna e Gianfranco Giunta, infatti, ci sarebbero irregolarità relative al mancato deposito dei verbali illustrativi delle deposizioni Moio, stilati durante i 180 giorni utili per le dichiarazioni dei collaboratori. Molte domande formulate dal pm Giuseppe Lombardo e ricavate da quei verbali, stando alla ricostruzione dei legali, si baserebbero su atti non a disposizione dei difensori. Da qui deriverebbe l’impossibilità di controesaminare il teste denunciata dagli avvocati. Proteste rigettate prontamente al mittente dal sostituto procuratore Lombardo, che ha ribadito come durante il processo «non siano state usate dichiarazioni in possesso solo della pubblica accusa». Il pm, che ha istruito il processo contro i principali clan di Reggio, ha denunciato il tentativo di «costringere l’accusa a presentare dei depositi, che comunque non effettuerà». Lombardo ha gioco facile a spiegarne i motivi: «Alcuni verbali sono secretati, non esiste solo la Dda di Reggio e bisogna preservare l’attività investigativa di altre procure». Una posizione accolta interamente dal presidente Silvana Grasso, che ha rigettato la richiesta di annullamento della deposizione di Moio e ribadito come tutto si sia svolto «secondo le regole» e nel rispetto delle procedure.

LA FIGURA DI COSIMO ALVARO
Poco prima l’ex «picciotto» – come si è definito – della cosca Tegano, aveva tratteggiato la figura criminale di Cosimo Alvaro, uno degli imputati “eccellenti” del processo che si sta celebrando a Reggio Calabria. Il figlio del mammasantissima “don Micu”, in mancanza del padre «è stato il perno principale» della famiglia egemone a Sinopoli, ha riferito il collaboratore di giustizia. Moio ricorda come anche a Reggio gli Alvaro fossero «molto appoggiati e in grado di muoversi come volevano, anche per via del ruolo di prestigio di “don Micu”, uno che rimarrà nella storia della ‘ndrangheta». Soprattutto, uno dei principali artefici della pax mafiosa del 1991, che in riva allo Stretto aveva seminato morte e violenza per cinque lunghi anni. Cosimo Alvaro «ad Archi ha avuto l’appoggio della famiglia De Angelis ed era tra i soci dei supermercati Vally. Era uno che investiva molto, anche nei traffici di droga», ha detto il pentito.
Ma il rampollo del potente casato di ‘ndrangheta aveva molti altri affari anche in città. Moio gli attribuisce infatti anche la proprietà del lido Calajunco, del centralissimo locale “Il pascià” e della casa di riposo per anziani “Villa speranza”.

LA SCOMPARSA DI SCHIMIZZI
È ancora un mistero la fine di Paolo Schimizzi, il nipote dei boss Giovanni e Pasquale Tegano sparito misteriosamente nel 2010, probabilmente per lupara bianca. «L’avevo incontrato il venerdì precedente. La sua scomparsa mi sembrò molto strana. Seppi subito che si trattava di una cosa familiare. Si iniziò allora a fare il nome di Giovanni Tegano», ha detto il collaboratore di giustizia.

IL SUCCESSORE DI PAOLO DE STEFANO
Moio parla, prova a spiegare. A tratti è molto confuso, i “non ricordo” sono molto frequenti. Capita così che il collaboratore smentisca quanto affermato nell’udienza precedente. In quella occasione, mentre si affrontava il ruolo delle nuove leve della ‘ndrangheta all’indomani della fine della guerra, l’ex killer della cosca Tegano aveva detto che «la ‘ndrangheta degli anni 80 era diversa, quella di oggi è più moderna, è politica, alla Peppe De Stefano». Affermazione che è stata ribaltata in aula dallo stesso Moio, per il quale il figlio di “don Paolo” De Stefano «che io sappia non ha mai avuto rapporti con la politica».

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