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Il latitante si nascondeva nel casolare di famiglia

CATANZARO È stato individuato in un casolare di famiglia in una zona montana e impervia del comune di Badolato e bloccato prima che tentasse la fuga Santo Procopio, di 27 anni, il latitante arrestato…

Pubblicato il: 24/10/2012 – 8:01
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Il latitante si nascondeva nel casolare di famiglia

CATANZARO È stato individuato in un casolare di famiglia in una zona montana e impervia del comune di Badolato e bloccato prima che tentasse la fuga Santo Procopio, di 27 anni, il latitante arrestato dai carabinieri di Guardavalle con il contributo dello squadrone eliportato dei cacciatori. Procopio era ricercato per un`ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip distrettuale su richiesta della Dda di Catanzaro per associazione mafiosa. L`uomo era in compagnia di due cugini e del fidanzato della sorella, D.C., di 23 anni, che è stato denunciato per favoreggiamento. All`individuazione del nascondiglio di Procopio, hanno spiegato il comandante del reparto operativo del Comando provinciale dei carabinieri Giorgio Naselli ed il comandante della Compagnia di Soverato Emanuele Leuzzi, grazie ad un costante lavoro di controllo dei familiari del latitante. Procopio, ritenuto legato alla cosca Sia-Procopio-Tripodi di Soverato, nel 2010 è stato vittima di due agguati. Il primo è stato compiuto il 26 gennaio nella frazione Elce della vecchia di Guardavalle. Nel secondo agguato, a Brognaturo, Procopio, che rimase gravemente ferito, si salvò perché indossava un giubbotto antiproiettile.
Nello stesso agguato fu ucciso Salvatore Vallelunga, fratello di Damiano, ritenuto il boss della cosca dei “viperari“, assassinato il 27 settembre del 2009 a Riace, davanti al Santuario dei Santi medici Cosma e Damiano, dove era in corso la festa patronale del paese. «Abbiamo aperto squarci importanti – ha detto il procuratore di Catanzaro Vincenzo Antonio Lombardo incontrando i giornalisti – sulle dinamiche criminali della zona del soveratese al confine con le province di Reggio Calabria e Vibo Valentia, ma anche sui fatti specifici e sugli omicidi commessi nella zona. Adesso abbiamo bisogno di un po` di tempo per mettere in ordine le carte. Alle indagini hanno anche contribuito alcuni collaboratori, un fenomeno, quest`ultimo, che è cresciuto negli ultimi tempi in seguito agli arresti che abbiamo eseguito. Certamente non abbiamo sconfitto la `ndrangheta nella zona ma sono stati fatti passi avanti e se li faranno anche la cittadinanza e la pubblica amministrazione arginando le infiltrazioni sento di poter dire di essere ragionevolmente fiducioso».

L`OPERAZIONE SHOWDOWN
Procopio era sfuggito all`arresto in occasione dell`operazione Showdown nell`area del Soveratese. L`operazione Showdown era scattata lo scorso 10 maggio su iniziativa della Procura antimafia di Catanzaro e condotta a termine dai carabinieri del comando provinciale del capoluogo con la compagnia di Soverato e l`appoggio dei Ros: in quell’occasione erano stati tratti in arresto 15 presunti affiliati al clan di ‘ndrangheta Sia-Procopio-Tripodi attivo lungo la fascia ionica del Catanzarese e nel Soveratese in particolare. Le persone coinvolte erano accusate, a vario titolo, di associazione per delinquere di tipo mafioso, omicidio, sequestro di persona, occultamento di cadavere – come presunti mandanti ed esecutori materiali di quello che gli investigatori ritengono un caso di lupara bianca: la scomparsa nel 2009 di Giuseppe Todaro (ritenuto affiliato della cosca rivale Gallace) – ma anche di traffico e spaccio di sostanze stupefacenti. Tra le persone indagate spiccava Teodoro Sinopoli, già vicesindaco di Soverato a cui è stato contestato il reato di concorso esterno in associazione mafiosa (la Dda ne aveva richiesto l`arresto in carcere, richiesta respinta dal gip del Tribunale): secondo l’impianto accusatorio, Sinopoli avrebbe assegnato lavori pubblici ad aziende riconducibili ai boss della cosca Sia-Procopio-Tripodi. Tra gli arrestati, invece, figurava anche il brigadiere Vincenzo Alcaro, 47 anni, carabiniere in servizio a Catanzaro, accusato dalla Dda di concorso esterno (ipotesi di reato modificata dal gip che ha configurato l’ipotesi di associazione mafiosa) essendo sospettato di aver informato alcuni affiliati circa le inchieste condotte dai colleghi e che avevano ad oggetto i membri del clan: un mese fa Alcaro è stato scarcerato per «sopravvenuti elementi di mancanza di gravi indizi di colpevolezza» dal Tribunale del Riesame di Catanzaro.

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