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La «`ndrangheta cattiva» secondo il pentito

REGGIO CALABRIA “C`è una `ndrangheta cattiva, con un potere cattivo e un`altra che esiste se il potere cattivo la fa dominare. Il vertice della `ndrangheta cattiva è costituito da Pasquale Condello…

Pubblicato il: 09/11/2012 – 21:27
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La «`ndrangheta cattiva» secondo il pentito

REGGIO CALABRIA “C`è una `ndrangheta cattiva, con un potere cattivo e un`altra che esiste se il potere cattivo la fa dominare. Il vertice della `ndrangheta cattiva è costituito da Pasquale Condello, Giovanni Tegano, Peppe De Stefano e Mico Libri”.
Il collaboratore di giustizia Consolato Villani, testimone venerdì al processo Meta, usa parole semplici ma dirette, come se volesse rendere più semplice il discorso per il pm Giuseppe Lombardo che lo interroga, per i giudici e per l`aula che ascolta.

LA `NDRANGHETA CATTIVA E LA `NDRANGHETA DI POLSI
Per lui, cugino di primo grado del presunto boss Nino Lo Giudice, `ndranghetista per sangue e tradizione, prima ancora che per affiliazione, la struttura della `ndrangheta è chiara. La “`ndrangheta cattiva”, che decide e determina i destini di una città e non solo, è altro rispetto a quella di Polsi, importante, tanto da meritare la formazione di un locale temporaneo che si occupi solo della gestione di quella tradizionale riunione annuale, ma non determinante ai fini del mantenimento degli assetti di dominio delle `ndrine. Due ambiti che necessitano l`uno dell`altro per continuare a sussistere. Ma che rimangono distinti. Del resto, i vertici dei tre mandamenti – jonico, tirrenico, Reggio città – a Polsi non ci vanno più, mandano al massimo i loro emissari. E di certo a Polsi non ci vanno i signori di una città che il collaboratore definisce “totalmente in mano alla `ndrangheta  che comanda, che fa le azioni, che fa quello che vuole, quando vuole”, dove anche le piazze sono “vetrine” assegnate alle differenti cosche per far mostra di sé e del proprio potere.

UN DIRETTORIO CON LE PROPRIE LEGGI
Ma per quanto tutti abbiano diritto a un proprio spazio, per Villani a Reggio assetti e gerarchie sono chiari. Così come l`enorme considerazione di cui godono alcuni boss (“Pasquale Condello? Nella `ndrangheta calabrese e non solo era come Mario Monti, conosciuto e rispettato da tutti”, dirà il collaboratore). “I Condello, i De Stefano e i Tegano sono di Archi e i  Libri di  Cannavò, ma sono  loro  a rappresentare la `ndrangheta a  Reggio Calabria. In tutti i locali della città sono presenti con delle loro filiali, diramazioni”. Un direttorio che si è affermato all`indomani della seconda guerra di `ndrangheta e da allora ha stabilito le proprie leggi, imparando a dirimere anche i contrasti interni che rischiavano di far saltare i delicatissimi equilibri, raggiunti al prezzo di un conflitto da oltre settecento morti ammazzati.
È successo – racconta Villani – quando Peppe De Stefano, ha voluto rivendicare per sé il ruolo che era stato del padre, quel don Paolino che della potenza dei De Stefano come holding criminale è stato il demiurgo. Un`ipotesi investigativa confermata dalla sentenza del processo Meta che si è svolto con rito abbreviato. Un`ipotesi cui Villani ha fornito il conforto di nomi, luoghi, volti e circostanze. “Peppe De Stefano in quel frangente ha guadagnato tantissima autorità perchè si è dimostrato un uomo pericoloso, capace di pretendere quello che gli spettava” commenta, con malcelato rispetto, il collaboratore.
Il riferimento è agli anni della frattura interna alla famiglia De Stefano fra il figlio di Don Paolino, che attorno a sé inizia ad aggregare giovani e rampanti leve come Mario Audino e Paolo Schimizzi, e lo zio Orazio, legato ai Tegano e a una concezione della gestione del potere che il pentito definisce “troppo pacifica”. Troppo diversa da quella di Peppe De Stefano. E nella guerra fra le due anime del clan di Archi non mancheranno né il sangue – l`autobomba che ha sbriciolato Audino, la scomparsa per lupara bianca di Schimizzi, volute e gestite secondo il collaboratore dai Tegano di cui entrambi erano espressione – né i colpi bassi. “Nino Lo Giudice mi disse che erano stati gli stessi De Stefano a vendersi Orazio e farlo catturare”, riferirà il collaboratore.

LE “SCUSE” DI PEPPE DE STEFANO
Una circostanza già emersa in udienza nei mesi scorsi e che all`epoca aveva  fatto imbestialire De Stefano che aveva tuonato “stimo il dottore Lombardo, ma né lui, né il colonnello Giardina, possono permettersi di dire che sono un infame, perché io gli infami li combatto da quando ho cinque anni”. Contrariamente ad allora, quello che gli inquirenti ritengono l`uomo più potente della `ndrangheta reggina ha chiesto scusa. “E` doveroso da parte mia  fare delle scuse al dottore Lombardo e al colonnello Giardina con riferimento alle dichiarazioni di qualche mese fa, quando ho utilizzato toni poco eleganti” dice con voce pacata ma chiara, quasi contrita Giuseppe De Stefano a fine udienza: “Tra le carte a mia disposizione non ritrovavo la dichiarazione del collaboratore in cui si dava conto dell`arresto di mio zio e pensavo fosse un`ipotesi investigativa”, sottolinea concludendo quella che se non fosse pronunciata in un aula di tribunale da un individuo recluso al 41 bis, avrebbe il sapore di una velata minaccia. Ma che in fondo conferma lo spessore criminale di un capo che riconosce i suoi nemici.
Ed è Villani a dare il metro del peso criminale di Giuseppe De Stefano a Reggio Calabria. “È lui dopo la cattura di Orazio De Stefano a prendere in mano le redini della famiglia , con l`appoggio dell`avvocato Giorgio”. Ma soprattutto il benestare di Pasquale Condello, quel Supremo che si interpone nel conflitto fra i De Stefano e i Tegano con il fondamentale ruolo di mediatore. Uno scenario inimmaginabile solo una decina di anni prima, quando i Condello da una parte e i De Stefano- Tegano dall`altra si erano mutuamente massacrati, ma che è in assoluta continuità con il regime che quel conflitto precede. Un regime in cui è all`ombra di don Paolino che nasce e cresce l`astro criminale di quello che diventerà il Supremo. Lo stesso personaggio che vent`anni dopo – ipotizza l`inchiesta Meta – restituisce al figlio la carica e il ruolo che trent`anni prima erano del padre.

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