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Gratteri spiega il linguaggio criptico dei clan

REGGIO CALABRIA «La `ndrangheta preferisce il linguaggio criptico anziche` le forme di espressione diretta. Ecco perchè abbiamo voluto titolare “Dire e non dire” l`ultimo libro scritto assieme al p…

Pubblicato il: 15/11/2012 – 22:22
Gratteri spiega il linguaggio criptico dei clan

REGGIO CALABRIA «La `ndrangheta preferisce il linguaggio criptico anziche` le forme di espressione diretta. Ecco perchè abbiamo voluto titolare “Dire e non dire” l`ultimo libro scritto assieme al prof. Antonio Nicaso». E` quanto ha detto il procuratore aggiunto della Repubblica di Reggio Calabria, Nicola Gratteri, intervenendo alla presentazione del volume all`Archivio di Stato. «E` un libro – ha aggiunto Gratteri – che vuole scavare dentro la “pancia” della `ndrangheta, nei suoi recessi più oscuri per interpretarne autenticamente i segnali e decodificarne i messaggi di pericolo in tempi utili. Un tentativo di ricostruzione semiotica di quel linguaggio, frutto certamente della pratica iniziatica che e` ancora oggi il paradigma fondamentale di questo tipo di associazione mafiosa». Antonio Nicaso, dopo avere ringraziato i funzionari dell`Archivio di Stato per il loro contributo alla ricerca dei dati, ha ribadito «il carattere non verticistico seppure unitario della `ndrangheta, contrariamente a Cosa Nostra. Una struttura organizzativa, quella della `ndrangheta, forse dovuta alla particolare orografia della Calabria – ha detto – che è servita però a garantirne l`impermeabilità fino ai nostri giorni e, quindi, ad evitare la sconfitta». Nicaso, ha citato anche alcuni episodi emersi dagli archivi di Stato americani «che testimoniano, sin dall`inizio del secolo scorso, la presenza nel nord America della mafia calabrese. Basti pensare ad un episodio accaduto nel primo decennio del `900 a Pellaro, nella periferia sud di Reggio, quando otto persone dello stesso nucleo familiare, due coniugi ed i loro sei figli, appena rientrati dall`America, furono trucidati senza apparente motivo». «Si scoprì successivamente – ha concluso – che il capofamiglia aveva partecipato ad una rapina negli Usa. Catturato dalla polizia, fece i nomi dei complici in cambio della possibilità di rientrare in Calabria, una trattativa con lo Stato che ne decretò la condanna a morte da parte della mafia».

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